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Il contratto di locazione ad uso non abitativo è disciplinato dalla Legge n. 392/1978 che all’art. 79 prevede espressamente il divieto di aumento in corso di esecuzione del contratto del canone originariamente pattuito tra le parti.
L’unica possibilità data alle parti è quella di sottoporre il canone all’aggiornamento annuale ISTAT a decorrere dal secondo anno di locazione al fine di aggiornarlo all’inflazione (art. 32 della Legge n. 392/1978). Sul punto, diversamente da quanto avviene per le locazioni ad uso abitativo, per quelle commerciali l’aggiornamento non avviene in automatico, occorrendo all’uopo una richiesta scritta da parte del locatore ed indirizzata al conduttore.
A ciò si aggiunga come il canone possa essere aggiornato solo nella misura del 75% dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al contrario di quanto avviene per le locazioni ad uso abitativo dove l’aggiornamento è del 100%.
Chiarito quindi il divieto di aumentare il canone inizialmente concordato, occorre interrogarsi sulla validità o meno di un contratto di locazione ad uso non abitativo che preveda un canone a scaletta, ossia un importo che fin da subito le parti prevedono di corrispondere in misura differente a cadenze predeterminate.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità già in passato si era espressa in senso positivo, sostenendo la validità del canone a scaletta.
Ciò in quanto, secondo i Giudici ermellini, non si tratterebbe di un aumento vero e proprio del canone ma semplicemente della decisione di spalmare il canone complessivamente pattuito per la locazione in rate di importi diversi a seconda del diverso periodo preso a riferimento.
Unico limite imposto dalla Cassazione, oltre all’obbligo di indicare fin da subito la misura finale del canone a cui giungere gradualmente, consisteva nella necessità di suffragare con valide prove ed argomentazioni la scelta del canone a scaletta. Detto in altri e più chiari termini, il canone a scaletta doveva essere provato sulla base di elementi oggettivi e predeterminati capaci di incidere sul sinallagma contrattuale (Cass. Civile, n. 15348/2017).
Alla stregua di tale orientamento giurisprudenziale è stata pertanto considerata sempre ammissibile la corresponsione da parte del conduttore di una somma inferiore a titolo di canone per il primo anno di locazione, in considerazione della difficoltà di avviamento dell’azienda.
Altra ipotesi mai messa in discussione riguarda la facoltà concessa al conduttore di pagare una somma inferiore per il primo anno per essersi quest’ultimo accollato delle spese di ristrutturazione dell’immobile locato.
Di recente i Giudici di Piazza Cavour (Cass. Civile, n. 23986/2019) sono ritornati sull’argomento statuendo che il canone a scaletta per le locazioni ad uso non abitativo sia sempre valido senza necessità di menzionare nel contratto i motivi di una simile scelta, purché non emerga che la stessa sia volta esclusivamente a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria. In quest’ultimo caso, infatti, il contratto sarebbe nullo per illiceità della causa.
È bene tuttavia precisare che il canone a scaletta debba risultare fin dall’atto della sottoscrizione del contratto di locazione, non potendo le parti propendere per tale opzione in corso di esecuzione del rapporto contrattuale altrimenti trattandosi di un vero e proprio aumento del canone.
Infine e non da ultimo si rammenta come, al contrario, sia sempre possibile una riduzione del canone di locazione in itinere, in quanto detta soluzione va a vantaggio del conduttore.
Stefania Avoni, avvocato