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Prima di addentrarci nel vivo della trattazione occorre preliminarmente distinguere tra invalidità ed inefficacia di un atto.
Un atto è invalido quando è viziato e, come tale, è incapace di acquisire valore giuridico.
A sua volta l’invalidità può comportare la nullità o, nei casi meno gravi, l’annullabilità dell’atto.
L’art. 1418 c.c. stabilisce che un atto è nullo quando è contrario a norme imperative. È il caso di un atto che si fonda su una causa o su motivi illeciti o il suo oggetto non è né determinato né determinabile.
L’ultimo comma della disposizione normativa sopra citata sancisce che un contratto è nullo altresì negli altri casi previsti dalla legge.
A differenza dell’invalidità, l’inefficacia comporta che un atto, pur non essendo affetto da alcuna patologia, non produca effetti giuridici per cause esterne all’atto medesimo.
Fatta questa doverosa premessa, tra gli altri casi di nullità previsti dalla legge vi sono quelli contemplati dall’art. 2479-ter c.c., a proposito di delibere assembleari.
Una delibera assembleare è invalida nel caso in cui contrasti con le disposizioni di legge o dell’atto costitutivo oppure qualora abbia un oggetto illecito o impossibile.
È altresì invalida la delibera che sia stata assunta con la partecipazione di soci in palese conflitto di interesse con la società e quella la cui adozione non sia stata preceduta da un’adeguata informazione resa a tutti i soci.
Quanto all’assenza di informazioni, l’art. 2479-ter, terzo comma, c.c., non fa riferimento unicamente alla non conoscenza degli argomenti all’ordine del giorno, ma anche alla disinformazione circa l’avvio del procedimento deliberativo. Si pensi, in quest’ultimo caso, ad una decisione adottata senza la partecipazione all’assemblea di un socio per sua mancata convocazione[1].
Nei casi sopra prospettati, l’invalidità della delibera determina la sua automatica nullità.
Altra ipotesi di invalidità, che rende la delibera radicalmente nulla, si verifica allorquando la stessa provenga da un terzo estraneo alla compagine societaria, a nulla rilevando che sia successivamente avvenuta la sua iscrizione nel Registro delle Imprese. Tale iscrizione non sana, infatti, la delibera.
Sempre comportante la nullità della delibera per sua invalidità è la convocazione assembleare proveniente da un soggetto estraneo alla società per non essere lo stesso né socio, né membro dell’organo amministrativo o di quello di controllo. Anche in tale circostanza la partecipazione all’assemblea di tutti i soci non è di per sé idonea a sanare detto vizio di convocazione[2].
Una delibera assembleare può essere, al contrario, perfettamente valida ma comunque inefficace.
Ciò si verifica, ad esempio, quando un amministratore rifiuti la sua nomina.
La delibera in questione, se è stata adottata nel rispetto dei quorum deliberativi previsti nello statuto sociale, è incapace di produrre effettivi giuridici verso i terzi, dal momento che il rapporto di amministrazione all’interno di una società, affinché possa considerarsi effettivamente instaurato, presuppone l’accettazione della delibera di nomina da parte dell’amministratore designato.
La ratio si rinviene nel fatto che la delibera equivale ad una proposta contrattuale per il cui perfezionamento è necessaria l’accettazione del destinatario della medesima.
È quanto dispone l’art. 1326 c.c. secondo cui il contratto si considera concluso soltanto nel momento in cui colui che ha fatto la proposta è venuto a conoscenza della sua accettazione ad opera dell’altra parte.
In conclusione, il Giudice adito, qualora venga impugnata una delibera assembleare, non sempre ne dichiarerà la nullità, potendo propendere per la sua inefficacia in mancanza di vizi dell’atto.
Stefania Avoni, avvocato
[1] Tribunale di Bologna, 25 marzo 2021, n. 727.
[2] Tribunale di Bologna, 18 ottobre 2019, n. 2257.