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Con l’Ordinanza n. 23384 del 24 agosto 2021, la Corte di Cassazione si è espressa sulla disciplina delle c.d. società di comodo, affermando che il concentrarsi di sfortunati eventi e l’inettitudine produttiva dovuta alla mancanza di strategie imprenditoriali legittimano la disapplicazione della disciplina antielusiva di cui all’art. 30, Legge n. 724/1994.
Tali accadimenti, che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi richiesti dalla disciplina, costituiscono, infatti, situazioni non riconducibili alla volontà dell’imprenditore e, pertanto, devono ritenersi idonei alla disapplicazione della disciplina sulle società di comodo.
Al fine di disincentivare l’artato ricorso a schemi societari per raggiungere benefici di carattere fiscale, l’art. 30, Legge n. 724/1994, ha introdotto nell’ordinamento nazionale la disciplina delle società di comodo (o non operative).
Tale disciplina, applicabile a Spa, Srl, Sapa, Snc, Sas e società ed enti (di ogni tipo) non residenti con stabile organizzazione in Italia, prevede l’effettuazione del c.d. test di operatività, il cui mancato superamento determina, a partire dall’esercizio in corso, l’inclusione tra le società di comodo.
In particolare, si considerano non operative le società il cui ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi ordinari risultanti dal conto economico, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinate percentuali al valore di taluni beni ed immobilizzazioni indicati dall’art. 30, Legge n. 724/1994.
Inoltre, indipendentemente dal superamento del test di operatività, l’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, D.L. n. 138/2011, prevede che le società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per cinque periodi d’imposta consecutivi e quelle che, nel medesimo arco temporale, sono per quattro periodi d’imposta in perdita fiscale ed in uno dichiarano un reddito inferiore all’ammontare determinato ai sensi dell’art. 30, comma 3, Legge. n. 724/1994 (società in perdita sistematica), sono considerate non operative a decorrere dal successivo sesto periodo d’imposta.
L’inclusione tra le società di comodo produce effetti penalizzanti in materia di imposte sul reddito, IRAP e IVA.
In relazione alle Srl è, innanzitutto, prevista la maggiorazione del 10,50% dell’aliquota IRES per effetto delle disposizioni contenute dall'art. 2, commi da 36-quinquies a 36-novies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148.
Inoltre, fermo restando l’ordinario potere di accertamento degli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria, ai fini delle imposte sui redditi si presume che il reddito del periodo d’imposta nel quale la società risulta di comodo non sia inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle percentuali indicate dal comma 3 dell’art. 30, Legge. n. 724/1994. Peraltro, le perdite degli esercizi precedenti possono essere computate in diminuzione della sola quota di reddito eccedente quello minimo.
In tema di IRAP, invece, si presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo, come determinato ai sensi del comma 3 dell’art. 30, Legge. n. 724/1994, ai fini delle imposte sui redditi, aumentato:
Da ultimo, è previsto che l’eventuale eccedenza di credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale relativa all’anno in cui la società risulta di comodo, non possa essere chiesta a rimborso, utilizzata in compensazione o ceduta a terzi.
L’art. 30, comma 1, Legge n. 724/1994, indica le cause di esclusione, applicabili sia alle società di comodo che a quelle in perdita sistematica, il cui ricorrere nell’esercizio oggetto di dichiarazione consentono la disapplicazione della disciplina.
Inoltre, il comma 4-bis dell’art. 30, Legge n. 724/1994, prevede che in presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi, nonché del reddito determinati ai sensi dello stesso art. 30, Legge n. 724/1994, sia possibile presentare apposita istanza di interpello, volta ad ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva.
Peraltro, come espressamente previsto dal comma 4-quater dell’art. 30, Legge n. 724/1994, le società che non hanno presentato l’istanza di interpello o che, pur avendola presentata, non hanno ricevuto risposta positiva ma ritengono comunque sussistenti le condizioni di cui al comma 4-bis dell’art. 30, Legge n. 724/1994, per la disapplicazione della disciplina, possono farlo autonomamente, dandone espressa e separata menzione nella dichiarazione dei redditi.
Con l’Ordinanza n. 23384 del 24 agosto 2021, la Corte di Cassazione si è espressa sulle oggettive situazioni di cui al comma 4-quater dell’art. 30, Legge n. 724/1994, che possono rendere impossibile il conseguimento dei valori minimi richiesti dalla disciplina.
Il caso sottoposto al vaglio dei Giudici di legittimità, in particolare, concerne l’impugnazione, da parte di una Srl, di un atto di diniego alla disapplicazione della disciplina delle società di comodo. La tesi sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria, ossia la mancanza di prove circa il ricorrere di un’oggettiva situazione di carattere straordinario che ha reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi, è stata avallata dalla Commissione Tributaria Provinciale e, successivamente, dalla Commissione Tributaria Regionale.
Investita della questione, la Corte di Cassazione ha innanzitutto evidenziato che ai fini della sottrazione dall’applicazione della disciplina antielusiva, l’attuale formulazione del comma 4-bis dell’art. 30, Legge n. 724/1994, non richiede più che le oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi minimi abbiano carattere straordinario.
L’impossibilità di conseguire i ricavi minimi può essere dunque determinata da uno specifico accadimento, non dipendente dalla scelta consapevole dell’imprenditore, che impedisca lo svolgimento dell’attività produttiva ed il conseguimento dei risultati reddituali conformi agli standard minimi legali.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la non operatività della società possa essere ricondotta al concentrarsi di eventi sfortunati o all’inettitudine produttiva dovuta da una mancanza di strategie imprenditoriali.
Dunque, tali cause costituiscono oggettive situazioni che hanno impedito il conseguimento dei ricavi minimi richiesti dall’art. 30, Legge n. 724/1994.
In particolare, il concentrarsi di eventi sfortunati costituisce un fattore causale, non riconducibile alla volontà dell’imprenditore, ma a cause ad essa estranee. L’inettitudine produttiva, invece, è da considerarsi espressiva non di una mancanza di volontà dell’imprenditore di svolgere l’attività d’impresa, ma di un’incapacità dello stesso a raggiungere determinati risultati, non conseguiti a causa del suo deficit di capacità.