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Con la Sentenza n. 26510 del 30 settembre 2021, la Corte Suprema scuote il mondo di coloro che, nel proprio ambito lavorativo, percepiscono frequentemente delle mance le quali, in alcuni casi, possono essere anche di rilevante entità.
Si tratta di un argomento già dibattuto in precedenza, anche se con risultati diametralmente opposti a quelli emersi di recente. Infatti, l’attuale impostazione dei Giudici di legittimità porta a considerare tassabili le mance percepite in relazione al lavoro dipendente svolto.
Le motivazioni addotte nella Sentenza della Corte di Cassazione trovano giustificazione nel fatto che nella “nuova” formulazione dell’articolo 51 del TUIR, il vincolo sinallagmatico tra datore di lavoro e dipendente, per l’individuazione del reddito complessivo da assoggettare a tassazione, risulta avere minore rilevanza.
Infatti, mentre l’articolo 48 del D.P.R. 597/1973 affermava che il reddito di lavoro dipendente era “costituito da tutti i componenti in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro”, la “nuova” versione dell’articolo 51 del TUIR (post riforma del 2004), prevede espressamente che “il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
A conforto di ciò, con l’emanazione del provvedimento di armonizzazione fiscale e contributiva (D.L.gs n. 314/1997) e della sua Circolare esplicativa (C.M. n. 326 del 23 dicembre 1997) si è dato spessore al concetto di onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, giustificando l’imponibilità di tutto ciò che il lavoratore percepisce in relazione al suo rapporto di lavoro, anche se proveniente da fonte diversa.
Inoltre, la lettera i) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR disciplina una precisa esclusione dal reddito di lavoro dipendente del 25% delle mance percepite dai croupiers delle case di gioco, ammettendo, implicitamente, la rilevanza di tale tipologia di reddito tra quelle soggette a tassazione.
Tutto ciò premesso e considerato che, a parere di chi scrive, le affermazioni dei Giudici di legittimità trovano un fondamento normativo condivisibile, è opportuno evidenziare anche il fatto che buona parte della dottrina continua a sostenere l’irrilevanza reddituale delle mance percepite in relazione al rapporto di lavoro eseguito, affermando che la Corte Suprema avrebbe dovuto dare maggiore peso al disposto dell’attuale articolo 49 comma 1 del TUIR ove viene precisato che “sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro”.
Una tale disposizione porta coloro che contestano la recente presa di posizione dei Giudici togati ad affermare l’irrilevanza giuridica del rapporto di fatto che lega chi eroga la mancia e chi la percepisce, ravvisando una mancanza del nesso giuridico-causale che porterebbe alla tassazione IRPEF.
Inoltre, gli stessi interpreti, a conforto della loro tesi, considerano il disposto che trova collocazione nella lettera i) del comma 2 dell’articolo 51 del TUIR (mance ai croupiers), una disciplina del tutto “eccezionale” applicabile ad una sola categoria di lavoratori che non può determinare una impostazione generalizzata sulla rilevanza fiscale di tale tipologia di erogazioni.
Per concludere la presente circolare, riteniamo importante riportare l’attuale principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione con la Sentenza in commento dal quale si evince che “le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva del reddito fissata dall’articolo 51, comma 1 del TUIR e sono, pertanto, soggette a tassazione”.