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Secondo i Giudici della Suprema Corte la gestione anomala del conto cassa potrebbe legittimare l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Con due pronunce del 20 ottobre 2021, gli Ermellini si sono espressi su due avvisi di accertamento notificati ai contribuenti dall’Agenzia delle Entrate in considerazione di una gestione di cassa atipica: nel primo caso il saldo di cassa risultava superiore al mezzo milione di euro e, nel secondo caso, il saldo di cassa era negativo.
L’Ordinanza n. 29182/2021 ha visto i Giudici pronunciarsi sul caso di un professionista che si era visto notificare un accertamento induttivo in considerazione del fatto che l’elevato valore della cassa fosse idoneo a ritenere la contabilità inattendibile.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, infatti, vi era uno scostamento troppo elevato rispetto alle medie di settore e, dunque, era scattato l'atto impositivo.
La Corte di Cassazione, però, ha rigettato le motivazioni avanzate dall’Ufficio, accogliendo il ricorso del contribuente, sul presupposto di quanto previsto dall’articolo 2 D.P.R. 570/1996, in forza del quale “la contabilità ordinaria degli esercenti arti e professioni è considerata inattendibile quando:
Secondo quanto riportato dai Giudici, in tali previsioni normative non è riportata la irregolare tenuta del conto cassa, che, peraltro, costituisce comunque registrazione contabile non obbligatoria.
In buona sostanza, considerato che la tenuta del conto cassa è consentita al contribuente per esigenze di controllo e gestione interna, le sue risultanze avrebbero potuto pesare sul giudizio di attendibilità delle scritture, ma non potevano condurre a ritenere privo di attendibilità l’intero impianto delle registrazioni contabili obbligatorie.
L’Ordinanza n. 29141/2021 tratta di un caso analogo al precedente, in cui però ad una ditta individuale è stato notificato un accertamento analitico-induttivo fondato sul saldo di cassa negativo.
Il contribuente aveva annotato i corrispettivi globalmente con la data dell’ultimo giorno del mese e l’Agenzia delle Entrate aveva confrontato i dati dei registri IVA con i movimenti del conto corrente, riscontrando la permanenza di un saldo negativo di cassa.
L’accertamento analitico-induttivo, riconducibile all’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, trova fondamento dall’incompletezza, falsità o inesattezza delle singole componenti della contabilità, giungendo quindi alla rideterminazione dell’imposta dovuta rettificando le singole componenti di redditi. È un accertamento, dunque, che si distingue da quello induttivo puro, perché le incompletezze, falsità o inesattezze non sono tali da consentire di prescindere completamente dalle scritture contabili.
La Corte di Cassazione, abbracciando la tesi dell’Ufficio, ha individuato nel saldo negativo di cassa e nell’irregolare annotazione sul libro giornale difformità contabili idonee a costituire presupposti per procedere alla rettifica analitico-induttiva del reddito.