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La soccida è quel contratto di natura associativa con cui il soccidante ed il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse al fine di ripartire l’accrescimento dei capi e gli altri prodotti ed utili che ne derivano.
Esistono tre differenti tipologie di soccida: soccida semplice, soccida parziaria e soccida con conferimento di pascolo. Nei primi due casi la direzione dell’impresa spetta al soccidante, che è colui che impartisce le direttive utili per il corretto esercizio della soccida, spettando invece al soccidario l’attività di allevamento degli animali secondo la diligenza del buon allevatore.
Oltre all’obbligo di custodia e di allevamento del bestiame il soccidario deve, tra l’altro, provvedere alle deiezioni degli animali in forza di adeguate autorizzazioni.
Nel caso in cui, in presenza di una soccida semplice, il soccidario sia accusato di illecita gestione dei rifiuti per aver smaltito le deiezioni degli animali senza adeguata autorizzazione, occorre interrogarsi su quali conseguenze possano scaturire per il soccidante.
Sul punto la Cassazione, con la Sentenza del 22 marzo 2013, n. 13739, ha sancito la responsabilità solidale del soccidante e del soccidario.
Gli Ermellini hanno, infatti, statuito che il soccidante, avendo la direzione dell’impresa, ha un dovere di controllo e di vigilanza sull’operato del soccidario, così che, in caso di condotta illecita imputabile a quest’ultimo, viene considerato responsabile solidale. Detto in altri e più chiari termini, sul soccidante grava una responsabilità oggettiva.
La ratio va ricercata nel dovere di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, così come sancito espressamente dall’art. 178 del D.Lgs. n. 152/2006.
Ne consegue che il reato di cattiva gestione di rifiuti si configura non soltanto in ipotesi di consapevolezza e volontarietà della condotta illecita, ma anche per la mancata adozione, da parte dei soggetti preposti alla vigilanza, di adeguate misure atte a prevenire ed evitare la commissione di violazioni nella predetta gestione.
Alla luce dei principi sopra espressi, il soccidante ha dovuto rispondere penalmente di concorso nel reato di gestione illecita di rifiuti, quantunque la condotta illecita fosse stata materialmente posta in essere dal soccidario e sebbene nel contratto fosse indicato espressamente che spettasse a quest’ultimo munirsi di adeguata autorizzazione, del tutto assente nel caso di specie.
In conclusione, la direzione dell’impresa implica che il soccidante debba provvedere non soltanto agli aspetti tecnico-organizzativi, ma anche a quelli giuridico-amministrativi, tra cui la verifica circa il possesso delle opportune autorizzazioni per la gestione dei rifiuti provenienti dalle deiezioni degli animali, rispondendo, in caso contrario, del relativo reato in concorso con il soccidario.
Stefania Avoni, avvocato
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