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Sulla base dei dati ISMEA, il settore avicolo italiano, lo scorso anno, ha prodotto 12 miliardi 350 milioni di uova, ottenute da 41 milioni di galline ovaiole distribuite in oltre 2.600 allevamenti, il 75% dei quali situato nel Nord Italia. Numeri che garantiscono l’autosufficienza in grado di rispondere al fabbisogno nazionale. Analogamente, l’allevamento di pollame destinato alla produzione di carne ha garantito il 99% della produzione consumata in Italia.
La produzione avicola rappresenta per il consumatore un’alternativa valida di consumo di proteine nobili ad un prezzo vantaggioso, sensibilmente inferiore a quello delle altre carni.
Il settore, sostanzialmente, garantisce l’autosufficienza del fabbisogno del consumo interno e potrebbe anche ambire ad incrementare le esportazioni.
Il settore zootecnico, compreso quindi il comparto avicolo, ha subito la flessione economica dovuta alla pandemia da COVID-19, in particolare, per il venir meno della richiesta da parte del settore HO.RE.CA. Tuttavia, il consumo domestico della produzione avicola ha compensato notevolmente tale flessione.
La produzione avicola italiana, come tutte le attività economiche, è comunque soggetta alle regole della concorrenza e del mercato.
Gli allevatori in questi anni hanno dovuto adeguare i propri impianti e le proprie strutture per il miglioramento del benessere degli animali e per prevenire il rischio di pericolose infezioni (in particolare l’aviaria) che si sono già manifestate in passato e che, comunque, continuano a rappresentare una minaccia soggetta ad attento monitoraggio delle istituzioni sanitarie nazionali ed internazionali.
Il settore è particolarmente soggetto alle variazioni dei prezzi delle materie prime in quanto il nostro Paese non è in grado di fornire produzioni sufficienti a garantirne i fabbisogni.
Il notevole incremento del prezzo dei cereali, dovuto in buona parte alle sfavorevoli condizioni climatiche degli ultimi anni, a cui si aggiunge quello dell’energia rischiano di compromettere la redditività delle imprese zootecniche e conseguentemente la tenuta del settore con le relative ricadute economiche ed occupazionali.
Gli aumenti dei costi sostenuti dalla filiera avranno necessariamente una ripercussione sul consumatore finale, il quale si troverà a subire anche i conseguenti rincari del settore della trasformazione e distribuzione, anch’essi dovuti in gran parte all’incremento del costo dell’energia e dei carburanti.
Il Legislatore potrebbe intervenire adeguando le percentuali di compensazione dell’IVA previste per le imprese agricole che applicano il regime IVA proprio di questo settore, senza che ciò comporti effetti diretti sul consumatore finale dato che l’aliquota IVA per quest’ultimo resterebbe invariata.
Infatti, i produttori agricoli che adottano il regime speciale IVA di cui all’articolo 34 del D.P.R. n. 633/1972 applicano l’IVA nei modi ordinari e detraggono l’imposta sulla base delle percentuali di compensazione.
Le percentuali di compensazione rappresentano quindi una detrazione forfettaria dell’IVA determinata per gruppi di prodotti, fissata con Decreto del Ministro delle Finanze di concerto con il Ministro per le Politiche Agricole. Tale percentuale è determinata tenendo conto della media dei costi e dei proventi derivanti dall’esercizio delle diverse tipologie di attività.
Per tali imprese agricole l’aumento del costo delle materie prime comporta automaticamente un aumento dell’IVA indetraibile sugli acquisti, dato che la detrazione dell’imposta avviene forfettariamente sulle cessioni effettuate dagli stessi, costituendo pertanto un ulteriore costo per l’allevatore. Pertanto, l’aumento della percentuale di compensazione del settore avicolo è giustificato anche dall’andamento del costo delle materie prime e dell’energia e, come già avvenuto per il settore bovino e suino, la percentuale potrebbe anche essere rivista con effetti temporanei, fin quando non si saranno nuovamente stabilizzati i mercati di riferimento delle materie prime.
Attualmente le percentuali di compensazione applicabili al settore sono fissate al 7,5% per il pollame e al 8,8% per le uova a fronte di un’aliquota IVA per la cessione di tali prodotti nella misura del 10%. L’ambito di manovra del Legislatore è quindi nell’ordine del 2,5% per il pollame e del 1,2% per il settore della produzione di uova.
Si auspica pertanto che il Legislatore prenda in seria considerazione questa opportunità che, come già sopra indicato, porterebbe un immediato beneficio agli allevatori senza produrre aumenti sui costi al consumo.
Luciano Mattarelli, Direttore generale