La prelazione agraria del confinante ex art. 7 della Legge n. 817/1971 trova applicazione allorquando sul fondo posto in vendita non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti o enfiteuti coltivatori diretti. Ciò in quanto la prelazione del confinante ha carattere residuale rispetto a quella dell’affittuario.
I requisiti affinché il proprietario del fondo confinante possa esercitare il diritto di prelazione sono, in ogni caso, i medesimi di quelli richiesti dall’art. 8 della Legge n. 590/1965 per la prelazione dell’affittuario.
Occorre, in sostanza, che il proprietario confinante coltivi o conduca direttamente il fondo confinante a quello posto in vendita da almeno un biennio, andando a ritroso da quando gli è stata notifica la proposta di vendita, non abbia venduto nel biennio precedente terreni di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria. È, altresì, necessario che il fondo che si intende prelazionare, unitamente ad altri posseduti dal confinante in proprietà o in enfiteusi, non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della di lui famiglia.
Ciò premesso, occorre interrogarsi circa la possibilità di esercizio del diritto di prelazione da parte del nudo proprietario del fondo confinante a quello promesso in vendita. Le perplessità derivano dalla necessità, come sopra precisato, della coltivazione o conduzione diretta dei terreni limitrofi a quello che si ha intenzione di acquistare.
Sul punto la Cassazione, con la Sentenza del 7 aprile 2015, n. 6904, ha ritenuto non applicabile la prelazione del confinante al nudo proprietario, posto che questi, fintanto che perdura il diritto di usufrutto, non può esercitare poteri di godimento sul bene e quindi non è in grado di soddisfare il requisito della conduzione diretta, quantunque lo stesso rivesta la qualifica di coltivatore diretto.
Questo approdo giurisprudenziale è perfettamente rispettoso della finalità intrinseca all’istituto della prelazione del confinante, consistente nell’opportunità di favorire l’ampliamento dell’azienda agricola finitima al fondo offerto in vendita, così da renderla più efficiente sotto il profilo tecnico ed economico.
L’esigenza di favorire la creazione di un’impresa agricola di dimensioni più ampie non sarebbe, al contrario, soddisfatta dal nudo proprietario che non abbia il godimento del terreno da accorpare a quello oggetto di prelazione.
Sebbene questo orientamento sia in linea con il tenore letterale della disciplina dettata in materia di prelazione del confinante, gli stessi Ermellini hanno aperto uno spiraglio all’esercizio del diritto di prelazione da parte del nudo proprietario che dimostri di avere un qualche collegamento con il fondo finitimo a quello posto in vendita. A tal fine, i giudici di legittimità hanno precisato che “l’esercizio della prelazione agraria può essere consentito anche al nudo proprietario del fondo confinante con quello posto in vendita, a condizione che egli coltivi legittimamente e direttamente il terreno da almeno due anni, poiché, se l’usufruttuario consente la coltivazione del fondo, la qualità di nudo proprietario determina una relazione qualificata con il fondo e costituisce titolo legittimante della coltivazione. Una siffatta conclusione è coerente col sistema normativo della prelazione agraria come sopra delineato, giacché risponde pienamente alla finalità di incremento e potenziamento della proprietà diretta coltivatrice, consentendo l’immediata estensione al fondo trasferito dell’attività agricola in corso sui terreni confinanti”[1].
Ne consegue che la prelazione non venga estesa indiscriminatamente a tutti i nudi proprietari confinanti ma soltanto a quelli a cui l’usufruttuario dia diritto a coltivare il fondo concessogli in godimento[2].
In conclusione, occorre che il nudo proprietario confinante dimostri di avere un qualche collegamento con il fondo affinché possa esercitare il diritto di prelazione al pari di colui che ha la piena proprietà.
Stefania Avoni, avvocato
[1] Cass. Civile, Sez. III, 10 novembre 2016, n. 22887.
[2] Cass. Civile, Sez. III, 18 gennaio 2019, n. 1268.
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