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Alla luce di una recente presa di posizione da parte della Commissione Regionale Lombardia avvenuta con la Sentenza n. 4312 del 01 dicembre 2021, si riapre una questione dibattuta frequentemente in dottrina.
Si tratta della determinazione della prova dell’avvenuta risoluzione del contratto di locazione a cui fare corrispondere il blocco dell’imponibilità IRPEF sui canoni di locazione corrispondenti.
Come noto, l’articolo 26 del TUIR stabilisce che i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro percezione: pertanto, stante l’effettiva esistenza di un contratto di locazione, solo la risoluzione provata di tale atto precluderà l’imposizione fiscale sui canoni, ammettendo il prelievo tributario sulla sola rendita catastale.
Da quanto sopra, risulta evidente che la discriminante fondamentale per evitare di pagare l’IRPEF sui canoni di un contratto di locazione venuto a cessare risulterà essere la presentazione all’Amministrazione Finanziaria della prova di tale cessazione.
Con una Sentenza del 30 dicembre 2021 n. 41954, la Cassazione ha avuto modo di sancire che la scrittura privata sottoscritta tra le parti e attestante la risoluzione del contratto locativo non era opponibile quale prova dell’avvenuta cessazione all’Amministrazione Finanziaria se non debitamente registrata.
La registrazione, infatti, conferendo data certa all’atto, oltre ad essere opponibile ai terzi, faceva decorrere i tempi per la detassazione dei canoni di locazione in capo al locatore.
Una tale impostazione, tuttavia, non ha sopito i dubbi tra gli interpreti della norma, in quanto l’avvenuta registrazione, di fatto, non sembra potere essere l’unica procedura in grado di attestare la prova della decorrenza della risoluzione del contratto sottoscritto tra le parti.
Se consideriamo anche quanto previsto dall’articolo 2704 del Codice Civile, risulta quanto mai possibile essere convinti che la registrazione dell’atto non sia la sola metodologia per fare acquisire data certa alla risoluzione dell’atto in questione.
Tale articolo, infatti, così recita:
“La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”.
È sulla base di una tale impostazione che si è mossa la Commissione Tributaria Lombarda, affermando, con la Sentenza ricordata in premessa, che la sussistenza della prova di un’avvenuta risoluzione del contratto di locazione possa essere ottenuta in presenza di una raccomandata “di comunicazione della cessazione del contratto di locazione” oltre ad altri numerosi elementi documentali che siano in grado di dimostrare “inequivocabilmente che il contratto ha cessato di produrre effetti giusta recesso ad opera della conduttrice”.
Elementi a sostegno dell’avvenuta cessazione possono essere, ad esempio, le comunicazioni dei fornitori delle utenze delle ultime fatture trasmesse, l’avvenuta restituzione, sul conto corrente del conduttore, delle somme versate a titolo di deposito cauzionale, ecc.
Pertanto, ferma restando la debenza dell’imposta in misura fissa per l’atto di risoluzione (che fornisce data certa tra le parti), ciò che rileva ai fini delle imposte sui redditi sui canoni di locazione, pur prescindendo dall’effettiva percezione, è la possibilità di fornire all’Amministrazione Finanziaria la prova della data della risoluzione.
Altra possibile soluzione ipotizzabile, in mancanza di registrazione o in caso di registrazione tardiva, potrebbe essere la trasmissione del documento di cessazione tramite i canali telematici certificati (via PEC).