Prima di rispondere al quesito occorre ripercorrere brevemente quali sono i tratti salienti dell’istituto dell’usucapione.
L’usucapione è regolata dall’art. 1158 c.c. e consiste nell’acquisto della titolarità di un bene immobile, come può essere un terreno, a seguito del suo possesso continuato ed ininterrotto per almeno vent’anni, senza che l’effettivo proprietario sollevi opposizione al riguardo.
Il possesso deve avvenire, inoltre, in maniera manifesta e non clandestina, e deve consistere in comportamenti tipici di colui che ha la titolarità del bene. Si parla in questo caso di possesso uti dominus, vale a dire come se si fosse realmente proprietari della res.
Accanto all’usucapione ordinaria appena descritta si colloca quella abbreviata, che si realizza in ipotesi di possesso continuato ed ininterrotto per dieci anni di un bene acquistato in buona fede da chi non ne era l’effettivo proprietario ed in forza di un titolo trascritto poi risultato nullo. Preme, al riguardo, precisare come la buona fede dev’essere presente al momento dell’acquisto del bene, non assumendo alcuna rilevanza la successiva malafede dell’acquirente[1].
C’è poi l’usucapione speciale relativa a fondi rustici con annessi fabbricati situati in Comuni classificati montani che siano posseduti ininterrottamente per quindici anni o cinque nel caso di loro acquisto in buona fede sulla base di un titolo trascritto ed idoneo al trasferimento poi rivelatosi nullo.
L’usucapione rappresenta un modo di acquisto a titolo originario che, diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, non sempre trova applicazione quando il bene appartiene ai Comuni, alle Province, alle Regioni o allo Stato.
In quest’ultimo caso non possono mai essere usucapiti i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato o annoverati tra i beni demaniali, trattandosi di beni inalienabili ex art. 823 c.c.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 822 c.c. sono considerati beni demaniali il lido, le spiagge, le rade, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, oltre che le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno, altresì, parte del demanio pubblico le strade, le autostrade e le strade ferrate, se appartengono allo Stato e non ad un soggetto privato, oltre che gli aerodromi, gli acquedotti, gli immobili di interesse artistico, archeologico o storico, le raccolte dei musei, le pinacoteche, gli archivi, le biblioteche.
Quest’ultimi beni sono comunque inalienabili pur se appartengono alle Province ed ai Comuni, al pari dei cimiteri e dei mercati comunali.
A questo dettagliato elenco si aggiungono gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
Il successivo art. 826 c.c. elenca, al contrario, i beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni, tra cui rientrano i beni destinati ad un pubblico servizio.
In conclusione, quando un terreno appartiene al Comune non è sufficiente la compresenza di tutti gli elementi costitutivi dell’usucapione, dovendosi in aggiunta verificare quale sia la reale natura giuridica della res, giacché la stessa potrà essere usucapita solo se appartiene al patrimonio disponibile dello Stato.
In presenza di un terreno comunale asservito ad interessi pubblici non si potrà, pertanto, rivendicarne l’acquisto per usucapione fintanto che il Comune non intervenga con un provvedimento di sdemanializzazione.
Stefania Avoni, avvocato
[1] Cass. Civile, n. 6030/1988; Cass. Civile, Sez. VI, 14 marzo 2021, n. 4063.
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