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Con la Sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4696 del 14 febbraio 2022, si è venuto ad affermare un principio degno di attenzione poiché introduce un potenziale nuovo approccio da parte delle imprese che attraversano una difficile fase della loro esistenza.
In pratica, la Suprema Corte ha chiarito che qualora un debitore ammesso alla procedura di concordato preventivo omologata si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, potrà essere dichiarato fallito, su richiesta dei creditori, del Pubblico Ministero o anche su propria istanza, seppure in costanza di procedura, quindi indipendentemente dalla risoluzione del concordato.
La presa di posizione dei Giudici di legittimità sovverte il giudizio della Corte d’appello che aveva revocato la decisione con cui il Tribunale aveva dichiarato fallita una società su istanza del Pubblico Ministero.
Il concordato preventivo omologato comporta che la società, ammessa alla procedura, sia in grado di proporre una possibile continuità dell’attività aziendale attraverso operazioni che prevedono la cessione di beni non strategici, la realizzazione di crediti non riscossi sino ad allora ed eventuali aumenti di capitale (laddove possibili) che permettano di raggiungere gli obiettivi tracciati nel piano concordatario.
Sostanzialmente, la procedura concordataria ha lo scopo di evitare la liquidazione della società attraverso strategie preventive che evitino l’insorgenza di posizioni debitorie irreversibili.
Tuttavia, non sempre ciò accade e quando la ristrutturazione debitoria prescritta dall’accordo non viene raggiunta, a seguito della nuova impostazione tracciata dalla Sentenza in oggetto, seppure in costanza di procedura concorsuale, non si preclude l’eventuale dichiarazione di fallimento anche se a richiederlo è il Pubblico Ministero.
Secondo la Cassazione, il portare a compimento il concordato prima di poter dichiarare il fallimento (tesi sostenuta dalla Corte d’appello) non risulta obbligatorio, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla Consulta la quale, con la sua Sentenza n. 106/2004, ebbe ad affermare che la tesi della preclusione del fallimento in assenza di risoluzione del concordato non è imposta dalla legge, ma è frutto di interpretazione che spetta al Giudice.
Nelle motivazioni della Corte d’appello si trovano posizioni che cercano di tutelare il più possibile il procedimento concordatario, viene, infatti, affermato che dichiarare fallimento prima che si giunga alla risoluzione del concordato preventivo omologato significherebbe eludere gli effetti negoziali della procedura minore voluta a seguito di una decisione maggioritaria vincolante per tutti i creditori coinvolti.
Tra le due procedure (concordato e fallimento) dovrebbe esistere un coordinamento che assicuri la conclusione della prima fase concordataria poiché il fallimento, di per sé, presuppone l’esito negativo del compimento della fase precedente.
Tuttavia, sebbene condivisibili per certi aspetti, tali considerazioni hanno lasciato spazio alla nuova linea di comportamento che consente la dichiarazione di fallimento in costanza di concordato senza che quest’ultimo si sia risolto.
Le Sezioni Unite ritengono, infatti, che durante la procedura di concordato, l’insolvenza persista e che il problema di coordinamento tra i due iter concorsuali compresenti (risoluzione e fallimento) non sussista, pertanto, laddove le modalità dell’accordo non risultino attuabili, non può essere preclusa la dichiarazione di fallimento.