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L’attività dei florovivaisti, che acquistano piante da orto e piante aromatiche da terzi e le rivendono, non sempre ricade nell’ambito delle attività agricole. Tali tipologie di piante, rimanendo in vivaio per tempi brevissimi, pertanto, potrebbero essere riconducibili ad attività commerciali.
Le imprese agricole ortoflorovivaistiche, al fine di assicurare ai propri clienti un’ampia gamma di prodotti, sempre più spesso si trovano ad acquistare piante da terzi, non sempre sottoposte a processi di coltivazione, manipolazione e trasformazione, prima di essere rivendute e pertanto altamente a rischio ai fini della tassazione catastale. Tra queste, possono ampiamente rientrare, anche le piante da orto.
Dal punto di vista civilistico, l’art. 2135 del c.c., prevede la possibilità di far rientrare tra le attività agricole anche le piante acquistate da terzi e direttamente commercializzate (senza che sulle stesse venga effettuata alcuna attività), perché venga rispettato il requisito della prevalenza.
In buona sostanza, le piante acquistate da terzi non possono essere prevalenti rispetto a quelle derivanti dall’attività principale di coltivazione, da intendersi come attività volta alla cura e allo sviluppo di almeno una fase essenziale del ciclo biologico.
La disciplina fiscale relativa all’attività di rivendita di piante acquistate da terzi, invece, differisce dalla disciplina civilistica, richiedendo il rispetto di determinati requisiti invocati dall’art. 32 del TUIR e poi ripresi anche dai documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate.
Nello specifico, la lettera c), 3° comma dell’art. 32, ricomprende nel reddito agrario “le attività di cui al terzo comma dell'articolo 2135 del Codice Civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con Decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze su proposta del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali.”
In sostanza, così come indicato anche nella Circolare 44/E del 2004 dell’Agenzia delle Entrate, la rivendita di prodotti agricoli acquistati da terzi, quando ricompresi nel D.M. 13/02/2015, può essere ricondotta ad un’attività agricola connessa, e come tale beneficiare delle normative e delle agevolazioni che caratterizzano il settore dell’agricoltura, solo qualora detti prodotti siano oggetto di attività di trasformazione o manipolazione e rispettino il requisito della prevalenza.
A tale principio, applicabile a tutte le imprese agricole, è stata apportata dal Legislatore un’eccezione riservata ai florovivaisti. Infatti, con la Legge di Bilancio 2020 è stato introdotto uno specifico regime di tassazione per la commercializzazione di piante vive e prodotti della floricoltura, acquistati da altri imprenditori agricoli florovivaistici di cui all’art. 2135 c.c.
L’art. 56-bis del TUIR, comma 3-bis, prevede che dal 2020, tali operazioni, nei limiti del 10% del volume d’affari, sono tassate applicando un coefficiente di redditività del 5% all’ammontare dell’imponibile IVA delle relative cessioni.
Al di fuori dell’ambito dell’art. 56-bis appena citato, occorre comunque fare riferimento ai dettami dell’art. 32 del TUIR relativi all’obbligo di manipolazione e trasformazione delle piante acquistate da terzi: per il settore del florovivaismo, tali concetti sono stati chiariti dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 11/E/2018 in cui sono stati riprese nozioni espresse nella Consulenza giuridica protocollo 95472/2014. Nello specifico, vengono ricomprese nel concetto di “manipolazione” applicabile alle piante le seguenti attività:
Pertanto, i redditi derivanti dalla rivendita di piante fatte oggetto delle suddette operazioni, purché sia rispettato il principio della prevalenza dei prodotti propri, sono attratti ed assorbiti dal reddito agrario.
Quindi, se per poter inquadrare i ricavi delle vendite nel reddito agrario rilevano le attività svolte dall’imprenditore agricolo nel lasso di tempo che intercorre tra l’acquisto di una pianta e la sua rivendita al cliente, è evidente che il tempo di permanenza di una pianta in vivaio non è un elemento trascurabile.
I verificatori, ormai sempre più avvezzi al mondo del florovivaismo, hanno quale principale obiettivo quello di riscontrare l’effettivo svolgimento delle attività di manipolazione delle piante acquistate da terzi e, per farlo, spesso fondano i propri accertamenti sul tempo di permanenza in azienda della pianta, dimostrabile dal confronto della data di acquisto con quella di vendita. Se tale permanenza risulta estremamente breve si presume che non siano state svolte attività di manipolazione, ma che il vegetale sia stato rivenduto tal quale (in tal senso si è espressa anche la CTP di Pistoia con la Sentenza n. 77/2018).
Chi conosce bene il settore saprà che vi sono numerose tipologie di piante che, per le loro caratteristiche, tendono ad essere rivendute pochi giorni dopo il loro acquisto, rendendo così difficoltoso ipotizzare che le stesse possano essere assoggettate a manipolazione. Tra queste, sicuramente, vi sono le piantine da orto o le aromatiche.
Per evitare che tali tipologie di piante vengano escluse dall’attività agricola, nonostante genericamente compete ai verificatori dimostrare la mancata manipolazione, sarebbe auspicabile che l’imprenditore agricolo predisponesse un sistema che integri tra loro:
Qualora, invece, le piante acquistate non vengano sottoposte a coltivazione, manipolazione o trasformazione, è opportuno che i ricavi derivanti dalla vendita di tali prodotti siano considerati di natura non agricola, poiché scaturenti da un’attività commerciale.
Pertanto, chi oltre alla posizione agricola ha anche una posizione fiscale di natura commerciale, può eliminare questo rischio facendo transitare i costi e i ricavi delle piante rivendute tal quali direttamente da questa seconda posizione.
Da non dimenticare che, un eventuale disconoscimento dell’attività agricola, determinerebbe il recupero a tassazione di somme considerevoli, senza contare le possibili conseguenze indirette in capo all’agricoltore (decadenza della qualifica di IAP, disapplicazione del regime speciale IVA, sgravi, autorizzazioni per la vendita diretta, questioni urbanistiche legate agli immobili, ecc.).
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