Come noto, si considera imprenditore agricolo un soggetto che esercita attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
L’art.1 del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, sostituendo l’art. 2135 del Codice Civile, ha previsto che le attività connesse all’agricoltura debbano rispettare specifici requisiti tali da renderle accessorie all’attività prevalente, sia sotto il profilo soggettivo (le attività devono essere svolte dallo stesso soggetto che svolge l’attività principale), sia sotto quello oggettivo (i prodotti devono derivare prevalentemente dall’attività di coltivazione del fondo, del bosco e dell’allevamento).
Dal punto di vista fiscale, le attività connesse, ai sensi dell’art. 32 del TUIR, rientrano nel reddito agrario al pari delle attività agricole principali. Le trasformazioni, le manipolazioni dei prodotti e gli acquisti di prodotti da terzi in quantità non prevalente rispetto ai propri sono, quindi, considerate attività agricole a tutti gli effetti.
Tuttavia, nel caso in cui un’impresa agricola acquistasse da terzi dei prodotti e li rivendesse allo stato originario senza applicare ad essi trasformazioni, manipolazioni o lavorazioni, questa non potrebbe essere inquadrata come attività connessa, ma sarebbe considerata attività commerciale a tutti gli effetti, con la conseguenza che il reddito andrebbe determinato in via analitica e non potrebbe rientrare in quello agrario, come da Circolare n. 44 del 15 novembre 2004.
L’impresa che svolge attività commerciale, oltre a quella prevalente agricola, dal punto di vista contabile ha l’obbligo di mantenere separati i registri IVA, cosa che non è necessaria per la gestione delle attività connesse.
Questo comporta che, qualora ci fossero costi sostenuti dall’azienda che non sono imputabili solamente all’attività agricola, ma riferiti anche a quella commerciale, questi dovrebbero essere suddivisi fra le varie attività.
Alcuni esempi pratici sono gli affitti, le assicurazioni, oppure, più frequentemente, il costo del personale, che potrebbe svolgere le proprie mansioni non esclusivamente nell’attività agricola, ma anche in quella commerciale.
Prendendo in esame il caso comune di un’impresa in contabilità semplificata in regime fiscale IVA normale, che svolge una seconda attività commerciale, a chiusura d’esercizio occorrerà imputare correttamente alle due attività i costi per retribuzioni dipendenti e contributi versati, in modo tale da conteggiarli nella maniera più corretta in sede di dichiarazione dei redditi.
Questa imputazione incide direttamente nel calcolo delle imposte dirette, poiché l’attività agricola è inquadrata nel reddito agrario e l’attività commerciale nel reddito d’impresa.
Un metodo per imputare i costi nella corretta attività è in base al fatturato, poiché, prendendo in considerazione la dichiarazione IVA del periodo oggetto di rettifica, le varie attività presentano valori separati e permettono di calcolare le esatte percentuali in capo a ciascuna di esse.
Esempio di imputazione costi del personale
Volume affari attività agricola: € 100.000
Volume affari attività commerciale: € 60.000
Costo del personale totale (retribuzioni + contributi): € 20.000
Volume affari totale: € 100.000 + € 60.000 = € 160.000
Volume affari agricolo in %: 62,50%
Volume affari commerciale in %: 37,50%
Costo del personale agricolo: € 20.000 * 62,50% = € 12.000
Costo del personale commerciale: € 20.000 * 37,50% = € 7.500
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