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Con il D.Lgs. n. 228/2001 il Legislatore ha previsto per i produttori agricoli la possibilità di vendere direttamente al consumatore finale senza che questo implichi l’inquadramento di tale attività come commerciale, quest’ultima specificamente disciplinata dal D.Lgs. 114/1998.
Ai sensi del D.Lgs. 228/2001, la vendita diretta può essere effettuata dall’imprenditore agricolo, iscritto al Registro delle Imprese, tramite la cessione di beni ottenuti prevalentemente dal proprio fondo; il richiamo alla prevalenza implica la possibilità per l’imprenditore agricolo di vendere direttamente prodotti acquistati da terzi in misura non prevalente rispetto ai propri, potendo misurare tale rapporto in termini quantitativi per i prodotti dello stesso comparto merceologico ovvero in termini qualitativi (prezzo dei beni) per i prodotti merceologicamente differenti.
L’art. 4, comma 8, D.Lgs. n. 228/2001, ha previsto dei limiti ai ricavi derivanti dalla vendita diretta di prodotti acquistati e manipolati da terzi nella misura di 160.000 euro per le ditte individuali e di 4 milioni di euro per le società. Nella “Legge di Bilancio 2018”, con il comma 499, è stata introdotta una seconda e rilevante novità, ovvero la possibilità per le aziende agricole di proporre il consumo dei propri prodotti in azienda e anche al di fuori lei locali aziendali.
Infatti, per effetto dell’art.4, comma 8-bis, D.Lgs. n. 228/2001 (comma aggiunto dall’art. 30-bis della Legge n. 98/2013, poi “Legge di Bilancio 2018”) viene previsto che: “(…) nell’ambito dell’esercizio della vendita diretta è consentito vendere prodotti agricoli, anche manipolati o trasformati, già pronti per il consumo, mediante l’utilizzo di strutture mobili nella disponibilità dell’impresa agricola, anche in modalità itinerante su aree pubbliche o private, nonché il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell’imprenditor e agricolo, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienico – sanitario.”
Con questa introduzione viene data la possibilità all’imprenditore agricolo di effettuare la vendita diretta, finalizzata al consumo immediato, anche al di fuori dei locali aziendali, pure in modalità itinerante su aree pubbliche o private, senza che tale attività di vendita comporti la variazione della destinazione d’uso dei locali ove si svolge la vendita.
Dal punto di vista autorizzativo, se la vendita diretta è svolta su superfici all’aperto dell’azienda agricola non sono previste comunicazioni che ne subordino l’esercizio; lo stesso vale se la vendita diretta è svolta in occasione di sagre, manifestazioni e fiere, poiché queste devono già essere state autorizzate dal Comune se svolte su aree pubbliche.
Nel caso in cui la vendita diretta fosse invece svolta in forma itinerante, è prevista la comunicazione tramite SCIA allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) del Comune ove ha sede l’azienda, così come per la vendita diretta tramite commercio elettronico. Qualora, invece, la vendita diretta fosse svolta in forma non itinerante ma in aree pubbliche, la comunicazione andrebbe fatta al Comune presso il quale si vuole esercitare la vendita.
Nel caso in cui invece la vendita diretta fosse svolta in un locale aperto al pubblico, deve essere effettuata la comunicazione al Comune in cui è ubicato tale locale.
Grazie all’evoluzione normativa, il Legislatore ha fornito all’imprenditore agricolo la possibilità di poter sfruttare nuovi format di proposta al cliente, come, ad esempio, lo street food agricolo.
Tuttavia, questa opportunità soggiace al rispetto di alcune regole che possono precludere lo svolgimento dell’attività qualora non venissero rispettate in sede di controllo dei requisiti.
La vendita diretta deve essere, infatti, effettuata utilizzando i beni mobili nella materiale disponibilità dell’impresa (con l’utilizzo di beni anche in comodato o in affitto) e che siano idonei dal punto di vista igienico-sanitario, con l’esclusione della somministrazione dei prodotti con servizio assistito.
Dal punto di vista logistico, quindi, l’imprenditore non può predisporre ambienti permanenti appositamente dedicati al consumo immediato, ma può proporre la vendita diretta con consumo solamente fornendo piani d’appoggio, sedie e sgabelli di dimensione e numero congrui alla capacità ricettiva del locale.
Il consumo, stando anche ai successivi chiarimenti del Ministero dello Sviluppo Economico, può essere effettuato con l’utilizzo di posate, bicchieri, tovaglioli anche riutilizzabili, purché questo non implichi da parte del cessionario un’apparecchiatura propria della ristorazione poiché la somministrazione è ammessa solamente in forma non assistita, ovvero con il ritiro dei prodotti da parte del cliente direttamente al banco di vendita per poi consumarli negli appositi spazi previsti per il consumo immediato.
Come riportato nella Nota di indirizzo ANCI del 5 marzo 2018, i prodotti oggetto di vendita diretta tramite street food agricolo o attraverso le altre forme di consumo sul posto, non hanno la possibilità di essere serviti cotti, poiché l’offerta può prevedere esclusivamente prodotti già pronti, escludendo di fatto le cotture svolte nel punto vendita.
Al momento, dunque, i prodotti cotti non sono compresi nella normativa vigente per la vendita diretta, dando quindi all’imprenditore la possibilità di cedere i prodotti pronti al consumo tali per cui “al limite possano essere meramente riscaldati, anche s u richiesta del consumatore, non essendo quindi possibile un’attività di manipolazione nel luogo di vendita”, come previsto nella Nota ANCI del 5 marzo 2018.
Sotto il profilo delle imposte dirette, per le imprese agricole, la cessione di propri prodotti agricoli (Tab. A, parte prima, D.P.R. 633/72), oppure, per i prodotti manipolati e/o trasformati, il rispetto del principio della prevalenza e la riconducibilità dei prodotti ceduti alle definizioni del D.M. 13 febbraio 2015, fa sì che le relative cessioni possano essere inquadrate all’interno del reddito agrario. Qualora invece i beni manipolati o trasformati oggetto di vendita, pur rispettando il criterio di prevalenza, non rientrino nelle definizioni del citato Decreto Ministeriale, la tassazione andrebbe determinata sul 15% del fatturato, così come previsto dall’art. 56-bis del TUIR.
Come riportato nella Circolare n. 44/E/2004 dell’Agenzia delle Entrate, un prodotto per essere considerato agricolo può avere subito una sola trasformazione: quindi, un prodotto che ad esempio ha subito un processo di cottura (ad esempio un pollo arrosto, una ciambella, ecc.), è stato sottoposto a più di un processo di trasformazione e non ha dunque la possibilità di essere oggetto né di tassazione catastale, ex art. 32, TUIR, né di tassazione forfettaria, di cui all’art. 56-bis, TUIR, e deve essere tassato quale reddito d’impresa.
Ai fini IVA, trattandosi di cessioni di beni, è necessario applicare l’aliquota propria del prodotto venduto (ad esempio, il 4% per il consumo di frutta fresca, il 22% per il vino, ecc.) anziché applicare l’aliquota al 10% propria della somministrazione di alimenti e bevande. Questo perché la vendita diretta, pur dando la possibilità di fornire un’alternativa all’imprenditore agricolo dal punto di vista della propria offerta, resta comunque un’attività che esula dalla ristorazione vera e propria.
Infatti, ferma restando la facoltà di proporre il consumo sul posto dei prodotti, la vendita diretta non permette all’imprenditore agricolo né di esporre o consegnare “menù di consumazioni” né di raccogliere le ordinazioni dei clienti, poiché queste comporterebbero un servizio di somministrazione assistita propria della ristorazione.
Nell’ambito dell’attività di enoturismo, invece, come disposto nella Legge n. 205/2017, sono previste “tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni vinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine”.
Per valorizzare la qualità del vino in sede di attività di degustazione, il Legislatore ha previsto che possano essere abbinati altri prodotti agroalimentari, purché questi siano freddi, rispettino i requisiti igienico-sanitari previsti dalla normativa in vigore e siano prevalentemente legati alle produzioni tipiche locali (DOP, IGP).
Come per le altre vendite dirette con consumo sul posto descritte in precedenza, non è concessa la somministrazione assistita che prefigurerebbe un’attività di ristorazione; la somministrazione è ammessa solo quando l’imprenditore esercita attività agrituristica. Inoltre, come di solito avviene, se la degustazione dei prodotti è ricompresa tra le attività informative-culturali del “pacchetto enoturistico” la degustazione segue l’aliquota IVA del servizio (22%).
Rispettati tutti i requisiti previsti dalla “Legge di Bilancio 2018”, occorre la presentazione della SCIA in modalità telematica presso l’ufficio SUAP del Comune presso il quale si intende svolgere tale attività, realizzata presso strutture idonee, con attrezzature idonee e svolte da personale con adeguate competenze e formazione.
Invitiamo tutti gli interessati al massimo rispetto di queste regole perché in caso di contestazione, oltre al rischio relativo al pagamento di sanzioni, esistono altri pericoli di natura urbanistica, autorizzativo/commerciale, ma soprattutto legati alla perdita della qualifica di Imprenditore agricolo professionale (IAP).
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