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Con riferimento ai servizi di mensa aziendale, le fattispecie che possono presentarsi sono diverse e per ciascuna di esse devono essere fatte considerazioni che, seppur riconducibili allo stesso concetto di fondo (fornire il pasto ai propri dipendenti), possono prevedere diverse applicazioni in ambito IVA.
Al fine di fornire un quadro il più possibile esaustivo degli strumenti utilizzati dalle imprese, ripercorriamo i chiarimenti forniti al riguardo dall’Amministrazione finanziaria.
In merito a tale fattispecie, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con un suo documento di prassi (Risoluzione n. 75 del 1° dicembre 2020) con il quale ha messo in evidenza che in relazione ai buoni pasto si vengono solitamente ad instaurare due rapporti contrattuali da tenere ben distinti in ambito IVA.
Il primo rapporto contrattuale si realizza tra la società che emette i buoni pasto ed il datore di lavoro, tra i quali prende forma il vero e proprio servizio sostitutivo della mensa aziendale soggetto all’aliquota IVA del 4% (art. 75, comma 3, Legge n. 413/1991).
Il secondo rapporto contrattuale insorge tra la società emittente i buoni pasto e coloro che somministrano gli alimenti e le bevande in base alla convenzione sottoscritta.
In tale caso ci troviamo di fronte ad una vera e propria prestazione di servizio (somministrazione di alimenti e bevande) soggetta all’aliquota IVA del 10% in base al n. 121 della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972.
Anche se, apparentemente, la fattispecie sopra analizzata non sembrasse generare problemi di sorta, difficoltà sono sorte allorquando il buono pasto messo a disposizione del dipendente potesse essere speso sia presso la mensa convenzionata che presso altri esercizi.
L’Agenzia delle Entrate, interpellata al riguardo (Risposta a interpello n. 231 del 28 aprile 2022), ha chiarito che la mensa doveva scorporare l’IVA al 4% per gli importi pagati in contanti o con moneta elettronica e l’IVA al 10% per quelli pagati mediante buoni pasto, alimentando, di fatto, una procedura che in taluni casi risultava essere alquanto articolata.
Le card elettroniche, emesse da una società terza, non rappresentano un valore economico al pari del buono pasto, bensì sono lo strumento che identifica il beneficiario (dipendente) il quale, in un determinato giorno, ha il diritto di ricevere il pasto.
Tra le caratteristiche proprie di tale strumento, oltre al fatto di precludere al dipendente che non ne usufruisce nel giorno prefissato di recuperare la somministrazione, troviamo anche quella che l’assimila ad una vera e propria mensa diffusa, consentendo al dipendente di consumare il pasto presso tutti gli esercizi che hanno sottoscritto la convenzione e che, pertanto, sono in grado di gestire la card elettronica a tale scopo predisposta.
Anche per tale fattispecie l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con un suo documento di prassi (Risoluzione n. 63 del 17 maggio 2005), ove ha chiarito che anche per tali casistiche ricorrono le condizioni applicative in materia d’IVA viste per i buoni pasto.
Pertanto, avremo l’applicazione dell’aliquota IVA al 4% per il servizio reso dalla società che ha emesso la card elettronica al datore di lavoro e l’aliquota IVA al 10% con riferimento alla somministrazione del pasto reso dagli esercizi convenzionati alla società.
Con riferimento all’utilizzo degli strumenti applicativi, il discorso diventa un poco più complicato poiché lo stesso trattamento IVA riservato ai buoni pasto ed alle card elettroniche può essere applicato solamente qualora il servizio reso attraverso l’applicativo mantenga le caratteristiche di assimilabilità ad un servizio sostituivo di mensa come visto per i buoni pasto, mentre laddove l’erogazione del servizio di somministrazione avvenga per altra via, l’Agenzia delle Entrate, con sua Risposta a interpello n. 430 del 22 agosto 2022, è giunta a diverse conclusioni.
In particolare, la fattispecie proposta dall’istante prevedeva che le somministrazioni fossero rese tramite un applicativo grazie ai quali i dipendenti potevano recarsi presso i ristoranti del circuito ottenendo il servizio dietro esibizione di apposita applicazione che incorporava un credito spendibile.
A pagare il pasto pensava successivamente la società di gestione dell’applicativo per conto dell’impresa dove lavoravano i dipendenti.
L’Amministrazione finanziaria, analizzando le modalità di erogazione del servizio e riscontrando una sostanziale diversità tra i servizi sostitutivi di mensa e quelli riconducibili alla mensa diffusa, ha chiarito che i servizi in oggetto devono essere assoggettati all’aliquota IVA del 10%.
Infatti, per verificare se una somministrazione di alimenti e bevande ai dipendenti sia riconducibile alla categoria dei servizi sostitutivi di mensa aziendale piuttosto che alle altre tipologie in cui può essere resa, occorre aver riguardo non solo alle modalità attraverso le quali la prestazione viene effettuata, ma anche alla presenza di eventuali convenzioni tra i partecipanti al contratto di somministrazione di alimenti e bevande.
Ebbene, nel caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate, caratterizzato dalla presenza di due convenzioni sottoscritte dall'istante (una con il circuito e l'altra con i singoli ristoranti), non sono ravvisabili le altre peculiari modalità che caratterizzano il servizio sostitutivo di mensa aziendale e quello di mensa diffusa.
Il circuito non eroga, infatti, alcun servizio sostitutivo di mensa aziendale nei termini chiariti dalla prassi, limitandosi a pagare il ristoratore per conto del datore di lavoro con il credito che quest'ultimo gli ha previamente messo a disposizione.
Mentre con riferimento alle caratteristiche proprie della mensa diffusa, oltre alla condizione di una preventiva convenzione con il datore di lavoro, sono evidenziate ulteriori condizioni, tra cui la presenza di clausole finalizzate ad evitare un impiego improprio o fraudolento dello strumento, come il suo utilizzo da parte del dipendente limitatamente a una sola prestazione giornaliera, nei giorni di effettiva presenza in servizio e nell'orario stabilito per la pausa pranzo.
Tali clausole ritenute fondamentali nella realizzazione di un servizio di mensa diffusa, risultano totalmente assenti sia nella convenzione tra la società ed il singolo ristoratore, sia in quella tra la società ed il circuito.