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La disciplina IVA, in base a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 19, prevede che non sia detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta.
Nelle attività agricole di allevamento, sovente trovano applicazione i contratti di soccida che, non di rado, prevedono la monetizzazione degli accrescimenti spettanti al soccidario. In questi casi, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito, con la Risoluzione n. 504929 del 07/12/1973, che è esclusa da IVA la somma di denaro corrisposta dal soccidante al soccidario a titolo di riparto dei frutti o degli utili, quale controprestazione dell'attività svolta dal soccidario.
Qualora il soccidario abbia la necessità di effettuare degli investimenti e, comunque, intenda optare per il regime IVA ordinario al fine di detrarre l’IVA sugli acquisti, è necessario che l’attività svolta determini operazioni attive soggette ad IVA, pertanto, in tale ipotesi non è possibile mantenere in essere un contratto di soccida che prevede la monetizzazione degli accrescimenti.
Tuttavia, nel caso in cui l’attività di allevamento sia svolta dall’imprenditore agricolo su più sedi aziendali o allevamenti, la detrazione dell’IVA sugli acquisti è consentita limitatamente agli allevamenti per i quali l’allevatore opera in proprio o tramite contratti di soccida non monetizzata, provvedendo direttamente alla vendita dei propri capi allevati tramite fatture soggette ad IVA.
In questi casi è opportuno distinguere anche le operazioni passive afferenti i contratti di soccida monetizzata dalle altre operazioni, adottando ad esempio specifici sezionali. In caso di controlli sarà così più semplice dimostrare la correttezza della detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti per i beni ed i servizi destinati all’attività soggetta ad imposta.
Occorre poi tenere sempre a mente che, in relazione agli acquisti per i quali si è detratta l’IVA, ai sensi dell’articolo 19-bis2 del D.P.R. n. 633/1972, se vi sono dei mutamenti nel regime fiscale delle operazioni attive, nel regime di detrazione dell'imposta sugli acquisti o nell'attività che comportano la detrazione dell'imposta in misura diversa da quella già operata, è necessario procedere alla rettifica dell’imposta detratta limitatamente ai beni ed ai servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati. Per i beni ammortizzabili, la rettifica è eseguita in rapporto al diverso utilizzo che si verifica nell'anno della loro entrata in funzione, ovvero nei quattro anni successivi ed è calcolata con riferimento a tanti quinti dell'imposta quanti sono gli anni mancanti al compimento del quinquennio (per i beni immobili il periodo di osservazione è pari a dieci anni).
I verificatori dovranno quindi accertare la presenza di attività di allevamento in proprio, di contratti di soccida ed in particolare se questi ultimi contratti sono genuini e se prevedono la ripartizione materiale degli accrescimenti o l’eventuale monetizzazione degli stessi. Nel caso di contemporanea presenza di attività di allevamento in proprio (o di contratti di soccida “non monetizzati”) e di attività di allevamento svolte tramite contratti di soccida monetizzati, qualora sia stata detratta l’IVA sugli acquisti di beni e servizi, l’attività di accertamento si concentrerà in modo particolare in relazione all’attività di allevamento condotto tramite soccida al fine di stabilire se effettivamente l’IVA sugli acquisti destinati a detta attività sia stata considerata indetraibile. Pertanto, si dovrà anche sindacare se le fatture che hanno determinato IVA a credito sono effettivamente afferenti all’attività di allevamento che ha originato operazioni attive soggette ad IVA.
In caso di contenzioso è, quindi, compito dei Giudici valutare la documentazione prodotta ed i rilievi effettuati dai verificatori al fine di stabilire se vi sia inerenza tra i costi sostenuti e gli investimenti effettuati rispetto all’attività di allevamento “in proprio”.
La Cassazione, con l’Ordinanza 11592/2021, ha affrontato il caso di un allevatore che svolgeva anche attività in qualità di soccidario al quale veniva contestata l’indebita detrazione dell’imposta pagata sugli acquisti. Secondo i verificatori non erano stati distinti i costi connessi all’attività svolta in proprio da quelli inerenti al rapporto di soccida monetizzata, generandosi in tal modo una indebita detrazione dell’IVA.
La Commissione Tributaria Regionale aveva disconosciuto la ricostruzione operata dai verificatori sostenendo che la stessa non era supportata da una logica contabile. L’Agenzia, dal canto suo, evidenziava come il contribuente non avesse mai sostenuto in giudizio l’esclusiva riferibilità degli acquisti all’attività di allevamento svolta in proprio, bensì che gli acquisti per i quali aveva portato in detrazione l’IVA afferivano sia alla sua attività in proprio che a quella di soccidario. Inoltre, il contribuente non aveva nemmeno censurato il criterio di ripartizione delle operazioni utilizzato dall’ufficio (metodo proporzionale).
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale richiama l’indirizzo dell’Amministrazione secondo il quale, qualora il soccidante venda l’intero prodotto, il soccidario non deve recuperare l’IVA relativa alle spese necessarie per onorare il contratto di soccida, sostenendo al contempo, in modo affatto dimostrato e con affermazioni non debitamente sostenute da evidenze probatorie, che gli acquisti sostenuti dall’allevatore non sono certamente inerenti al contratto di soccida.
Pertanto, i Giudici di legittimità, ravvisando l’incongruità dal punto di vista motivazionale, della censura operata dalla CTR al criterio di ripartizione proporzionale applicato dall’Amministrazione, hanno cassato la Sentenza della CTR Piemonte disponendo un nuovo esame del ricorso.
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