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Con la Risoluzione n. 124/E/2017, l'Agenzia delle Entrate ha esaminato gli effetti fiscali conseguenti alla rinuncia al trattamento di fine mandato (TFM) da parte degli amministratori. La rinuncia dei soci-amministratori ai crediti vantati verso la società partecipata rientra nell'ambito di applicazione del principio dell'incasso giuridico. La rinuncia al trattamento di fine mandato degli amministratori non soci, invece, determina l'insorgere di una sopravvenienza attiva tassabile in capo alla società.
In aggiunta al compenso ordinario, determinato in misura fissa o in proporzione agli utili conseguiti dalla società, lo Statuto sociale o l’assemblea dei soci possono prevedere l’attribuzione di un trattamento di fine mandato (TFM) agli amministratori, che rappresenta una sorta di remunerazione differita dell’attività svolta, da corrispondersi alla cessazione del rapporto, analogamente a quanto previsto per i lavoratori subordinati.
L’attribuzione del TFM all’amministratore può avvenire direttamente da parte della società o, in alternativa, mediante la sottoscrizione di una polizza assicurativa, il cui beneficiario può essere l’amministratore o la società stessa.
Tale indennità non è disciplinata da alcuna disposizione civilistica e la sua misura è demandata alla contrattazione delle parti, che possono dunque liberamente stabilirne entità e modalità di erogazione.
L'indennità deve essere comunque determinata secondo criteri di ragionevolezza e congruità rispetto alla realtà economica della società. L'Amministrazione Finanziaria, infatti, è legittimata a negare la deducibilità dell'indennità qualora ritenuta quantitativamente sproporzionata rispetto ai ricavi o all’attività esercitata dalla società, oppure strumentale all’ottenimento d’indebiti vantaggi.
Le quote annualmente accantonate dalla società al fondo trattamento di fine mandato sono deducibili in capo alla stessa secondo il principio della competenza economica (dunque, nei limiti delle quote maturate nell’esercizio e a prescindere dal momento di effettiva erogazione).
A tal fine, tuttavia, è necessario che il diritto alla percezione del TFM sia attestato da un atto scritto, avente data certa anteriore all’inizio del rapporto. In mancanza, la deducibilità di tali accantonamenti deve essere rimandata sino all'anno di effettiva erogazione dell'indennità (la deducibilità fiscale degli accantonamenti operati in ciascun esercizio deve quindi essere rinviata sino al momento in cui la società corrisponde effettivamente il TFM all’amministratore).
L'Agenzia delle Entrate, in particolare, richiede la preventiva formazione del verbale di nomina dell’amministratore, completo del riconoscimento del diritto all’indennità, e la successiva accettazione dell’incarico da parte dell’amministratore stesso. L’attribuzione della data certa può avvenire facendo redigere il verbale direttamente da un notaio, registrando la delibera all’Agenzia delle Entrate, inviandola via PEC o, più semplicemente, notificando per raccomandata con ricevuta di ritorno la copia, in plico senza busta, del verbale di assemblea.
La condizione della data certa, infine, rileva anche per consentire all'amministratore di beneficiare della tassazione separata (la tassazione separata non è comunque applicabile alla quota di TFM eccedente la soglia di 1 milione di euro, sulla quale deve essere obbligatoriamente applicata la tassazione IRPEF ordinaria).
Con effetto dal 1° gennaio 2016, il D.Lgs. n. 147/2015 è intervenuto sul regime d’irrilevanza reddituale delle rinunce ai crediti da parte dei soci. Il nuovo comma 4-bis dell’art. 88, TUIR, in particolare, stabilisce che la rinuncia dei soci ai crediti vantati verso la società partecipata si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale.
La rinuncia al credito da parte di un socio è espressione della volontà di patrimonializzare la società e, pertanto, non può essere equiparata alla remissione di un debito ad opera di un soggetto estraneo alla compagine sociale (che genera una sopravvenienza tassabile in capo alla società). La riduzione dei debiti conseguente alla rinuncia deve essere dunque suddivisa in due componenti:
Tanto per le operazioni di rinuncia diretta ai crediti originariamente sorti in capo al socio, quanto per quelle precedute dall'acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), il nuovo regime fiscale qualifica fiscalmente come "apporto" alla società la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. Pertanto, se il valore fiscale del credito coincide con il suo valore nominale iscritto in bilancio, la rinuncia al credito continua a non essere tassata in capo alla società debitrice (indipendentemente dalla natura del credito e dalle modalità di contabilizzazione). Quando, invece, il credito ha un costo fiscale inferiore al valore nominale, la rinuncia genera una sopravvenienza attiva imponibile, data dalla differenza tra il valore nominale del credito (che corrisponde all’incremento patrimoniale della società debitrice) e il costo fiscale dello stesso, in capo alla società.
Il socio è quindi tenuto a rendere alla società partecipata una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante il valore fiscale del credito. In assenza di tale comunicazione il valore fiscale del credito è assunto pari a zero, con la conseguenza che la società deve assoggettare a tassazione l'intero valore nominale del credito.
La società, a sua volta, è tenuta, oltre ad operare la ritenuta di acconto su tali somme (ancorché non effettivamente erogate), a costituire una riserva patrimoniale in contropartita al venir meno del proprio debito verso il socio. Il medesimo trattamento fiscale è previsto nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni. Il valore fiscale delle partecipazioni deve essere assunto per un importo pari al valore fiscale del credito oggetto di conversione, al netto delle perdite sui crediti eventualmente deducibili per il creditore per effetto della conversione stessa.
Con la Risoluzione n. 124/E del 13 ottobre 2017, l'Agenzia delle Entrate ha reso alcuni interessanti chiarimenti circa il trattamento fiscale applicabile alla rinuncia degli amministratori al trattamento di fine mandato.
Il caso sottoposto al vaglio dell'Amministrazione Finanziaria riguarda, in particolare, una società a responsabilità limitata che nel corso degli anni ha accantonato un importo a titolo di TFM a favore dei propri quattro amministratori (di cui due erano anche soci) pari al 10% del compenso lordo. Nel 2016, nell'ambito di una trattativa relativa alla cessione della società, gli amministratori hanno unanimemente rinunciato al TFM accantonato negli esercizi precedenti, al fine di apportare nuove risorse al patrimonio della partecipata.
La società si è quindi rivolta all'Agenzia delle Entrate per comprendere il corretto trattamento fiscale applicabile a tale rinuncia.
Relativamente agli amministratori-soci, l'Agenzia delle Entrate ha evidenziato che la fattispecie rappresentata nell'interpello rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 88, comma 4-bis, TUIR. È, infatti, evidente la volontà dei soci di patrimonializzare la società partecipata attraverso la rinuncia alle quote di TFM accantonate, con il conseguente incremento del costo della partecipazione da loro detenuta. Tuttavia, giacché trattasi di crediti per il trattamento di fine mandato dovuto a soci persone fisiche, non esercenti attività d'impresa, non è ravvisabile alcuna differenza tra valore fiscale e valore nominale dei crediti e, pertanto, la società partecipata non deve tassare alcuna sopravvenienza attiva.
Nel caso di specie non è peraltro neppure necessaria la comunicazione del socio alla società partecipata circa il valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia, non potendosi comunque verificare quelle distorsioni (dovute alla mancata coincidenza tra valore nominale dei crediti e valore fiscale, generata, ad esempio, per effetto di svalutazione), ravvisabili soltanto in presenza di un'attività d'impresa, che il Legislatore ha inteso scongiurare (proprio) con l'introduzione del comma 4-bis nell'art. 88, TUIR.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, la rinuncia al TFM operata dagli amministratori non soci, invece, non rientra nel campo di applicazione dell'art. 88, comma 4-bis, TUIR (la cui disciplina opera esclusivamente con riguardo alle rinunce dei soci). La stessa, pertanto, genera una sopravvenienza attiva di cui all'art. 88, comma 1, TUIR, tassabile in capo alla società (pur nel limite delle quote di TFM accantonate e dedotte nei diversi periodi d'imposta).
Qualora la società non abbia invece dedotto la quota di TFM accantonata, la rinuncia non determina alcun effetto fiscale.
La rinuncia al TFM da parte degli amministratori-soci determina l'incremento del costo della partecipazione, generando materia imponibile in capo al socio qualora riguardi crediti correlati a redditi tassati per cassa. Detti crediti devono quindi essere assoggettati a tassazione in capo ai soci persone fisiche non imprenditori (i quali sono dunque tenuti a dichiarare tale reddito, ancorché non incassato), con il conseguente obbligo della società di effettuare la ritenuta alla fonte.
Gli amministratori non soci, invece, non conseguono alcuna contropartita dalla rinuncia al TFM (la stessa, infatti, non determina alcun incremento del valore della partecipazione) e, pertanto, non sono soggetti a imposizione fiscale.