Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Con l’Ordinanza n. 28370 del 29 settembre 2022, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi delle problematiche legate all’agevolazione meglio nota come Piccola Proprietà Contadina nel caso in cui, al momento dell’acquisto, il terreno sia affittato ad un terzo locatario.
Su tale argomento, la giurisprudenza si è pronunciata più volte, adottando, in taluni casi, orientamenti anche contrastanti.
Nel caso di specie, tuttavia, l’orientamento dei giudici togati appare in linea con pronunce antecedenti (Ordinanze n. 21609/2016 e n. 3821/2018), dove veniva ribadita la necessità di fornire interpretazioni restrittive sulle norme che riguardavano agevolazioni fiscali, in quanto le stesse derogano al principio di uguaglianza e di capacità contributiva.
Ricordiamo che le agevolazioni riferite alla Piccola Proprietà Contadina consistono nell’applicazione, in misura fissa, delle imposte di registro e ipotecaria, nell’esenzione dall’imposta di bollo e nell’applicazione dell’imposta catastale nella misura dell’1% e ricorrono qualora siano rispettate, all’atto del trasferimento dei fondi, determinate condizioni codificate dalla Legge n. 604/1954 prima e, successivamente, dall’art. 2 del D.L. n. 194/2009.
La fattispecie posta al vaglio della Corte di Cassazione consisteva nel fatto che una Srl aveva beneficiato dell’agevolazione PPC per l’acquisto di terreni, che risultavano già condotti in affitto da parte di terzi.
Ebbene, come noto, tra i requisiti richiesti per potere sfruttare i vantaggi fiscali della PPC, è previsto che l’acquirente dei terreni sia un soggetto che dedica abitualmente la propria attività alla conduzione del fondo e, tra le cause di decadenza, viene espressamente citata la fattispecie che contempla, prima che siano trascorsi cinque anni dagli acquisti fatti, la vendita del fondo, la cessione dei diritti, anche parziali, su di esso, ovvero la cessazione della coltivazione diretta.
Per quanto la società istante volesse giustificare il proprio diritto alle agevolazioni PPC in considerazione del fatto che i terreni oggetto dell’acquisto erano stati coltivati ininterrottamente, prima dai locatari e, dopo la cessazione del contratto di affitto, da parte della stessa società acquirente, la Corte di Cassazione, evidenziando che gli affittuari si erano limitati a dichiarare la propria rinuncia all’esercizio del diritto di prelazione sui terreni, ha posto l’accento sul fatto che, sin dalla legittimazione dell’atto di vendita, i nuovi proprietari erano consapevoli che il contratto di locazione non si sarebbe risolto anticipatamente e, pertanto, non avrebbero potuto coltivare direttamente i terreni, disattendendo alle prescrizioni sancite dalla norma sulla PPC.
A seguito di ciò, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittime le richieste dell’Ufficio dell’Amministrazione Finanziaria che, attraverso apposito avviso di liquidazione, chiedeva il recupero delle imposte ordinariamente previste per l’acquisto dei terreni.
Diverso è il caso, da noi commentato nella circolare n. 100 del 30 marzo 2018, in cui la presenza di un contratto di affitto sul terreno oggetto di acquisto non ha compromesso la fruizione dei benefici fiscali della PPC, in quanto i nuovi proprietari si erano immediatamente attivati per ottenere la liberazione del terreno da coltivare.
In tale contesto, infatti, la Corte di Cassazione si era espressa affermando che: “il contribuente non decade dalle agevolazioni PPC quando, dopo l’acquisto, ponga in essere tutte le attività univocamente dirette a coltivare il fondo”.
Tali attività dovranno essere improntate alla massima diligenza e dovranno essere dirette a non creare equivoci all’Amministrazione Finanziaria o a terzi che si trovino a valutare la situazione e, a tal fine, i soggetti interessati dovranno predisporre un adeguato materiale probatorio.