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La Corte Costituzionale ha recentemente dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale di cui all’art. 2, comma 5-ter, D.L. n. 102/2013, in relazione alle ipotesi di fabbricati rurali oggetto di frazionamento prima della trasmissione della comunicazione attestante i requisiti di ruralità, per i quali, oltretutto, non sembrava possibile l’inserimento dell’annotazione di ruralità.
La vicenda sottoposta al vaglio di costituzionalità riguarda un’azienda agricola che disponeva di alcuni fabbricati rurali. Su taluni fabbricati, pur non essendo intervenuta alcuna modifica in relazione ai requisiti di ruralità, era stato effettuato un frazionamento con attribuzione di nuovi identificativi catastali.
L’impresa provvedeva all’aggiornamento catastale degli immobili, inserendo l’annotazione di ruralità sugli immobili presenti (post frazionamento). Tale aggiornamento, come previsto dal D.L. n. 70/2011, prevedeva di allegare una dichiarazione nella quale il contribuente autocertificava che i fabbricati possedevano, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità. Tale dichiarazione consentiva all’Agenzia del Territorio di inserire la c.d. annotazione di ruralità in corrispondenza delle unità immobiliari interessate. Nel caso di specie, tuttavia, l’annotazione non era stata riportata anche per le unità immobiliari ante frazionamento.
Per i fabbricati oggetto di frazionamento, con riferimento alla situazione pregressa (ante frazionamento), il Comune richiedeva il pagamento dell’ICI, sostenendo che la mancanza dell’annotazione di ruralità nei registri catastali ne precludeva l’esclusione dal tributo.
La contestazione del Comune si fondava anche su un precedente pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in base al quale era stata indicata determinante la classificazione catastale dell’immobile rurale ai fini dell’esenzione ICI e, pertanto, l’onere del contribuente o del Comune di contestare tempestivamente un diverso accatastamento (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, Sentenza n. 18565 del 21 agosto 2009).
Il contenzioso perveniva alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, la quale rinveniva una contraddizione nell’interpretazione della norma per il fatto che, a parità di condizioni di fatto, determinava un’imposizione tributaria diversa a seconda che l’immobile fosse stato oggetto di variazioni/frazionamenti nel quinquennio precedente all’aggiornamento catastale, pur avendo provveduto il contribuente alla presentazione della dichiarazione di ruralità.
Infatti, gli immobili che non avevano subito frazionamenti nel quinquennio precedente al 2011 godevano dell’esenzione ICI, invece, quelli oggetto di un precedente frazionamento, non essendo inserita alcuna annotazione circa il rispetto del requisito di ruralità sulla posizione precedente, erano tassati.
La Corte Costituzionale ha ripercorso l’iter normativo che ha determinato il passaggio degli immobili rurali al censimento nel catasto dei fabbricati, nonché la specifica disciplina introdotta per l’aggiornamento catastale dei fabbricati rurali, preordinata anche all’introduzione dell’IMU.
I requisiti affinché un fabbricato possa essere definito rurale sono indicati nell’art. 9, D.L. n. 557/1993, con il quale si istituiva il catasto dei fabbricati.
Successivamente, l’art. 7, comma 2-bis, D.L. n. 70/2011, aveva stabilito che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i soggetti interessati presentano all'Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione all'immobile della categoria A/6 (per gli immobili rurali ad uso abitativo) o della categoria D/10 (per gli immobili rurali ad uso strumentale). Alle domande, da presentarsi entro il 30 settembre 2011, doveva essere allegata un'autocertificazione nella quale il richiedente dichiarava che l'immobile possedeva, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità ai sensi del citato art. 9, D.L. n. 557/1993.
L’Agenzia del Territorio, previa verifica dei requisiti di ruralità, avrebbe riconosciuto l’attribuzione della categoria catastale richiesta. In caso di mancato pronunciamento dell’Agenzia del Territorio entro il 20 novembre 2011, invece, valeva il silenzio assenso.
Al contrario, l’eventuale diniego dell’Agenzia del Territorio comportava l’obbligo del contribuente di provvedere al pagamento delle imposte non versate, maggiorato di sanzioni e interessi, entro il 30 novembre 2012.
Tali disposizioni sono state poi abrogate dal D.L. n. 201/2011, il quale, all'art. 13, comma 14-bis, ha stabilito che le domande di variazione della categoria catastale presentate, ai sensi del comma 2-bis dell'art. 7, D.L. n. 70/2011, anche dopo la scadenza dei termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.
Successivamente, il D.M. 26 luglio 2012, ha stabilito che, ai fini dell'iscrizione, negli atti del catasto, della sussistenza del requisito di ruralità dei fabbricati ad uso abitativo, a seguito delle domande pervenute, è apposta una specifica annotazione con riferimento ad ogni unità immobiliare interessata.
Infine, l’art. 2, comma 5-ter, D.L. n. 102/2013, ha definito la portata temporale degli effetti dell'annotazione della ruralità, facendola retroagire al quinquennio anteriore a quello di presentazione della relativa richiesta.
In linea con quanto già affermato dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 18565/2009), la Corte Costituzionale ha affermato la necessità dell’iscrizione al catasto ai fini della cristallizzazione della ruralità del fabbricato.
Tuttavia, la Corte ha precisato che tra le funzioni proprie del catasto, vi è anche quella di tenere in evidenza, con operazioni di voltura e verificazione, le mutazioni soggettive e dello stato degli immobili e delle relative rendite.
Pertanto, ogni iscrizione relativa ad atti di aggiornamento rimane accessibile al fine di consentire, nel tempo, la ricostruzione storica delle vicende che hanno interessato ciascun immobile. Tra le informazioni che devono rimanere tracciate, deve includersi anche il frazionamento da cui derivi la soppressione della particella originaria e l’inserimento di nuovi identificativi con relativo trasferimento delle annotazioni storiche (dalla “particella madre” alle “figlie”).
La disposizione del 2013 che ha permesso ai contribuenti di disporre di una copertura rispetto agli accertamenti fiscali effettuati nel quinquennio precedente con la presentazione della domanda di variazione catastale, rende irrilevante il fatto che, in un momento successivo, l’immobile abbia assunto una diversa configurazione catastale.
Secondo le stesse istruzioni elaborate dalla Direzione centrale del catasto (Circolari nn. 24818 del 17 maggio 2012 e n. 13845 del 5 aprile 2013), per gli identificativi associati alle unità immobiliari soppresse, l’annotazione ruralità deve essere inserita manualmente menzionando lo stadio superato.
Secondo la Corte sono quindi inconferenti i rilievi secondo i quali l’annotazione sulle unità immobiliari derivate non risulterebbe possibile ove il contribuente, prima di presentare la domanda ai sensi del D.L. n. 70/2011, abbia provveduto a far confluire l’originaria unità immobiliare in un nuovo subalterno, accatastato in categoria A/6 o D/10 (in tal caso, secondo i ricorrenti, non si potrebbe apporre alcuna ulteriore annotazione alle particelle pre-frazionamento). Se così fosse, verrebbe meno la funzione tipica della registrazione catastale che, invece, deve consentire la verifica dell’inquadramento dell’immobile in un preciso momento storico.
La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 12 del 2 febbraio 2023, ha quindi dichiarato insussistente il contrasto della disciplina introdotta dall’art. 2, comma 5-ter, D.L. n. 102/2013, con i principi di ragionevolezza e uguaglianza sanciti dalla Costituzione.
Pare quindi che gli Uffici non abbiano correttamente provveduto a mantenere la continuità delle informazioni così come precisato dalla Corte.