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Con l’Ordinanza n. 5778/2023, depositata lo scorso 23 febbraio 2023, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sull’assoggettabilità alla quota fissa della TARI delle aree produttrici di rifiuti speciali. Secondo i Giudici di legittimità, in particolare, sulle superfici che producono rifiuti speciali, l’esenzione da imposizione opera soltanto in relazione alla quota variabile della tariffa, mentre la quota fissa resta comunque dovuta.
L’art. 1, comma 641, Legge n. 147/2013, prevede che la TARI sia dovuta da chiunque possieda o detenga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all’art. 117, Codice Civile, che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
Tuttavia, nella determinazione della superficie assoggettabile alla tariffa, quota fissa e variabile, non si deve tener conto delle aree ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.
Con un apposito regolamento, i Comuni devono quindi disciplinare riduzioni della quota variabile del tributo, proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati.
Il regolamento deve altresì individuare le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.
Tali esclusioni, tuttavia, non sono automatiche, ma richiedono la prova, posta in capo al contribuente, della natura speciale dei rifiuti, dell’entità della superficie di loro produzione e dell’auto smaltimento.
Nell’Ordinanza n. 5778/2023, la Corte di Cassazione è intervenuta, tra l’altro, sull’assoggettabilità alla TARI delle aree produttrici di rifiuti speciali, conferiti per il loro smaltimento a soggetti terzi.
I Giudici di legittimità, in particolare, hanno precisato che la quota fissa della TARI è sempre dovuta per intero, sulla base del mero presupposto del possesso o della detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti.
La TARI, infatti, è destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell'interesse dell'intera collettività, indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti o, addirittura, dall'effettiva fruizione del servizio comunale.
La quota variabile della tariffa, invece, può non essere dovuta qualora il contribuente attesti di produrre esclusivamente rifiuti speciali non assimilabili, smaltiti autonomamente a mezzo di ditte esterne autorizzate.
A tal fine il contribuente è tenuto a definire con esattezza le superfici esentate dall'imposizione in rapporto a quelle complessivamente detenute, normalmente produttive di rifiuti urbani ricompresi nell'ordinaria attività di raccolta comunale.
Secondo la Corte di Cassazione, pertanto, sulle superfici produttrici di rifiuti speciali è possibile azzerare, con un apposito regolamento comunale, la sola quota variabile della TARI. La quota fissa, invece, resta comunque dovuta, ancorché il contribuente sia in grado di dimostrare la mancata produzione, su una determinata superficie, di rifiuti conferibili allo smaltimento o la produzione esclusiva di rifiuti speciali, non assimilati o assimilabili.
L’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione non è tuttavia aderente al dettato normativo. Infatti, l’art. 1, comma 649, Legge n. 147/2013, prevede espressamente che nella determinazione delle superfici assoggettabili alla TARI non si tenga conto di quelle ove si formano i rifiuti speciali, senza operare alcuna distinzione tra quota fissa e variabile.