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Il valore venale in commercio di un’area edificabile rappresenta la base imponibile per il tributo comunale sugli immobili. Si tratta di un valore senz’altro strettamente legato alla potenzialità edificatoria, che però è spesso condizionato da fattori oggettivi che possono fare la differenza anche tra aree edificabili poste a poca distanza le une dalle altre.
Si tratta, tuttavia, di giudizi di tipo estimativo, che devono essere motivati e attestati da una perizia a cura di professionisti qualificati e che non può essere rimandata alla sola valutazione del Giudice.
Sul tema, l’orientamento della Giurisprudenza appare ormai ben delineato ed ancorato alle definizioni della disciplina ICI che, sulla determinazione della base imponibile delle aree edificabili, all’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 504/1992, prevedeva che: “Per le aree fabbricabili, il valore è costituito da quello venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita, di aree aventi analoghe caratteristiche”. Tale definizione è stata successivamente ripresa dalla disciplina IMU ed è attualmente ancora presente al comma 746 dell’art. 1, Legge n. 160/2019, che regola la nuova IMU dal 2020.
Sul tema è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 4939 del 16 febbraio 2023. Il caso sottoposto ai Giudici di legittimità riguardava la cessione di un’area edificabile per la quale non era in contestazione il fatto che la qualificazione derivasse dalla sua inclusione nel Piano Regolatore Generale del Comune, bensì il valore venale di commercio della stessa.
La vicenda vedeva l’intervento della Commissione Tributaria Regionale, che censurava la valutazione del Giudice di prime cure, per aver ridotto in via equitativa, nella misura del 20% il valore del terreno in quanto tale valutazione deve essere frutto di un giudizio estimativo. La Commissione Tributaria Regionale, nonostante disponesse della relazione dell’Ufficio tecnico comunale dell’atto di trasferimento di un terreno limitrofo, ha ritenuto anch’essa di poter pervenire ad una stima equitativa, non ancorata a parametri legali, affermando che: “è impossibile quantificare esattamente il valore venale di un’area fabbricabile, tuttavia, in sede di valutazione, la minor o la maggiore utilità e potenzialità della edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una sua corretta valutazione del valore venale del suolo edificatorio (….) con il nuovo P.R.G. la cubatura consentita è quasi la metà, il collegio ridetermina il valore accertato nella misura del 40%”.
I Giudici di legittimità, accogliendo il ricorso del Comune, hanno invece cassato la decisione della CTR, ribadendo che la valutazione sul valore dell’area edificabile deve essere frutto di un giudizio estimativo, non riconducibile alla cosiddetta “equità sostitutiva” di cui all’art. 113 del Codice di procedura Civile, consentita nei soli casi previsti dalla Legge.
Pertanto, ai fini della definizione del valore dell’area edificabile, il Comune, nell’atto accertativo, deve basarsi sui presupposti definiti dal comma 5 dell’art. 5, D.Lgs. n. 504/1992 e non limitandosi ad indicazioni generiche. Se tali elementi sono desumibili dagli atti deliberativi con i quali l’Ente locale ha stabilito i valori di riferimento per orientare le attività di accertamento, l’atto di accertamento può legittimamente fare un rimando agli stessi. Al contempo, anche le eventuali perizie di parte non possono recare generiche giustificazioni per la definizione di un diverso valore rispetto a quello contestato, ma nemmeno possono essere disattese dal Giudice di merito senza adeguate motivazioni circa le ragioni per le quali egli le ritiene inattendibili.