Con Risposta a Interpello n. 245 dell'8 marzo 2023, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, in caso di applicazione del regime forfettario da parte di un contribuente privo dei necessari requisiti, la responsabilità per le violazioni concernenti la mancata applicazione delle ritenute di acconto è imputabile al lavoratore autonomo che ha reso la relativa dichiarazione.
A tal fine, tuttavia, il sostituto d’imposta deve dimostrare che, osservando la normale diligenza, non era nelle condizioni di poter verificare i presupposti dichiarati dal collaboratore per l’applicazione del regime agevolato.
Il regime forfettario
Come noto, al regime forfettario di cui alla Legge n. 190/20414 possono accedere sia i contribuenti che iniziano una nuova attività di impresa, arte o professione e presumono di conseguire ricavi o compensi non superiori a 85.000 euro (65.000 euro fino al periodo d'imposta 2022), sia i soggetti già in attività che nell'anno precedente all'applicazione del regime hanno conseguito ricavi o compensi non superiori alla predetta soglia.
I soggetti che applicano il regime forfettario beneficiano di svariate semplificazioni contabili, tra le quali la possibilità di non esercitare la rivalsa ai fini dell’IVA e di non essere soggetti alla ritenuta d'acconto in relazione ai ricavi o ai compensi percepiti.
A tal fine è tuttavia richiesto il rilascio di un’apposita dichiarazione al sostituto d’imposta, nella quale il contribuente forfettario deve attestare che il reddito cui le somme percepite afferiscono è soggetto all’imposta sostitutiva propria del regime forfettario.
Come indicato dalle Risposte a interpello nn. 499/2019 e 500/2019, il contribuente che, ritenendo erroneamente di avere i requisiti per l’applicazione del regime forfettario, emette fatture senza addebito dell’IVA ed esposizione della ritenuta di acconto, può rimediare all’indebita fruizione del regime agevolato adottando una delle seguenti modalità:
- emissione di note di variazione in aumento di cui all’art. 26, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, a integrazione delle fatture originarie, addebitando l’IVA a titolo di rivalsa ed esponendo la ritenuta di acconto;
- emissione di note di variazione in diminuzione di cui all’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, a integrale storno delle fatture originarie, con contestuale emissione di nuove fatture, in sostituzione delle precedenti, addebitando l’IVA a titolo di rivalsa ed esponendo la ritenuta di acconto.
Il caso sottoposto al vaglio dell’Agenzia delle Entrate
Nella fattispecie oggetto di interpello, la società istante ha rappresentato di avvalersi di un lavoratore autonomo che, in relazione ai periodi d’imposta 2021 e 2022, ha dichiarato di poter beneficiare del regime forfettario di cui alla Legge n. 190/2014.
Di conseguenza, le prestazioni rese dal lavoratore autonomo nel 2021 e nel 2022 sono state fatturate dallo stesso senza applicazione dell’IVA e della ritenuta di acconto. La società istante, a sua volta, ha liquidato le fatture senza applicazione della ritenuta di acconto.
A fine 2022, tuttavia, il lavoratore autonomo ha comunicato alla società istante che, a seguito del superamento della soglia di compensi allora vigente (65.000 euro), non poteva fruire del regime agevolato già dal periodo d’imposta 2021.
In relazione ai compensi fatturati nel 2021 e corrisposti nello stesso anno, il lavoratore autonomo ha quindi emesso, nel 2022, una nota di variazione in aumento della sola IVA.
Relativamente ai compensi fatturati nel 2021 e nel 2022 in regime forfettario e corrisposti nel 2022, invece, il lavoratore autonomo ha emesso delle note di credito a storno integrale delle fatture erroneamente emesse con applicazione del regime agevolato, procedendo altresì alla riemissione delle fatture con applicazione del regime ordinario (ossia, con esposizione dell’IVA e della ritenuta di acconto).
Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate
In relazione a tale articolata fattispecie, l’Agenzia delle Entrate ha innanzitutto precisato che i compensi fatturati e percepiti dal collaboratore nel periodo d'imposta 2021, per i quali nel 2022 è stata emessa una nota di variazione in aumento dell'IVA, non richiedono alcun adempimento da parte della società (sostituto d’imposta).
A tal fine è, tuttavia, necessario che tali compensi siano stati correttamente dichiarati dal lavoratore autonomo, anche mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa ai fini delle imposte sul reddito e dell’IVA), e siano state corrisposte le relative imposte, interessi e sanzioni (mediante l’istituto del ravvedimento operoso di cui all'art. 13, D.Lgs. 472/1997).
In tale ipotesi, pertanto, la società istante non è tenuta ad eseguire il versamento delle ritenute d'acconto non operate, e neppure a presentare le Certificazioni Uniche ed il Modello 770/2022 integrativo (purché i compensi, seppur errati, siano stati già indicati nei predetti modelli trasmessi all'Agenzia delle Entrate).
Con riguardo ai compensi fatturati nel 2021 e nel 2022 in regime forfettario e corrisposti nel 2022 per i quali il lavoratore autonomo ha emesso note di credito a storno delle fatture precedenti e riemesso fatture in regime ordinario (con esposizione dell’IVA e della ritenuta di acconto), l’Agenzia delle Entrate ha invece evidenziato che la società istante è tenuta ad operare, seppur tardivamente, le ritenute d'acconto, per poi versarle con la maggiorazione a titolo di interesse, nonché a rilasciare la Certificazione Unica per il 2022 e a presentare il Modello 770/2023, indicando i dati corretti.
Con specifico riferimento alle sanzioni, il lavoratore autonomo deve ritenersi responsabile, oltre che di quelle allo stesso applicabili per l'errata fatturazione e la tardiva liquidazione e versamento dell'IVA dovuta, anche per le sanzioni conseguenti alle ritenute non operate e non versate (o versate tardivamente).
Le violazioni in cui è incorsa la società istante (sostituto d’imposta), infatti, sono state determinate dall'errata richiesta di disapplicazione delle ritenute di acconto avanzata dal lavoratore autonomo.
Nei confronti della società istante, in particolare, l’Agenzia delle Entrate ritiene applicabile il disposto di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 472/1997, il quale esclude la responsabilità quando l’errore non è determinato da colpa.
In buona sostanza, il sostituto d’imposta può ritenersi non responsabile delle violazioni relative all’omessa o tardiva esecuzione e versamento delle ritenute, alla trasmissione delle Certificazioni Uniche e del Modello 770 con dati errati e, conseguentemente, delle sanzioni ad esse relative, qualora sia in grado di dimostrare che, utilizzando una normale diligenza, non sarebbe stato possibile verificare che il lavoratore autonomo era privo dei requisiti per applicare il regime agevolato (requisiti peraltro attestati dal lavoratore autonomo con la specifica dichiarazione di cui all’art. 1, comma 67, Legge n. 190/2014).
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