Le imprese agricole, come ogni altra attività economica, devono tenere in debita considerazione i costi fissi e quelli variabili afferenti le diverse produzioni, valutando le soluzioni più opportune per massimizzare i profitti.
I problemi relativi al reperimento di manodopera, oppure la necessità di disporre di specifiche attrezzature per effettuare la raccolta dei prodotti, sovente trovano nel contratto di vendita in piedi una valida soluzione che coniuga sia i bisogni del produttore/cedente che quelle dell’acquirente.
La vendita di frutta su pianta e, più in generale, la vendita di prodotti agricoli “in piedi”, si concretizza in un contratto con il quale un imprenditore agricolo vende tutti i prodotti di una determinata piantagione quando ancora sono pendenti (attaccati alla pianta o al suolo nel caso di foraggi o piante) al momento dell’accordo.
Si tratta di un contratto che ha antiche origini, rappresentato con diverse sfumature anche negli usi locali. In genere, oltre all’impresa agricola cedente, le altre parti sono soggetti privati che acquistano partite di prodotti per gli usi familiari; altre imprese agricole che necessitano di integrare le proprie produzioni anche ai fini dell’approvvigionamento di derrate per l’alimentazione del proprio bestiame; da imprese commerciali che, direttamente o tramite prestatori di servizi, si sono organizzate per “raccogliere” il prodotto coltivato da terzi.
In pratica, l’impresa agricola che coltiva la piantagione si occupa di tutte le operazioni agronomiche necessarie per il buon esito del raccolto, ad esclusione delle operazioni finali di raccolta.
Dal punto di vista contrattuale, storicamente, la forma più comunemente utilizzata di questo tipo di accordo prevede che il cessionario si accolli il rischio dell’eventuale mancato o minore raccolto.
È tuttavia possibile che la cessione avvenga sulla base della quantità e della qualità di prodotto effettivamente raccolto dall’acquirente.
Dopo la sottoscrizione dell’accordo di vendita tra le parti, potrebbero insorgere degli eventi, non prevedibili, che possono danneggiare o distruggere integralmente il prodotto oggetto di compravendita (incendi, avversità atmosferiche, infestazioni, ecc.).
La ragione per la quale è frequentemente utilizzata la condizione di accollo al cessionario di tali rischi, con accettazione della stessa tra le parti, risiede nel fatto che l’impresa che ha coltivato la piantagione fino al momento del raccolto, scegliendo di vendere il prodotto già pronto con tale formula, non vuole soggiacere ad ulteriori rischi per le successive attività che competono all’acquirente e, soprattutto, non intende dover rimettere in discussione gli accordi presi o avviare un contenzioso con l’acquirente.
A seconda della tipologia di prodotti oggetto del contratto, la fase di raccolta potrebbe essere più o meno prolungata; ad esempio, nel caso di raccolta dell’uva in genere si impiegano pochi giorni, mentre nel caso della raccolta della frutta o nell’ipotesi di taglio del bosco possono aversi tempi ben più lunghi.
Tuttavia, attribuire unicamente ad una delle parti gli effetti derivanti da una causa di forza maggiore, (ovvero un evento eccezionale, imponderabile e inatteso) risulta contrario alle disposizioni contenute nel Decreto Legislativo n.198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.
Tale disciplina prevede una disposizione perentoria e inderogabile che esclude la possibilità di porre a carico di una sola delle parti gli effetti conseguenti a cause di forza maggiore. Ci si riferisce in particolare alle disposizioni contenute nell’articolo 5 alle lettere c), d) e l) e precisamente:
c) l'omissione, nella stipula di un contratto che abbia ad oggetto la cessione di prodotti agricoli e alimentari, di anche una delle condizioni richieste dell'articolo 168, paragrafo 4 del Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013 (tra le quali sono comprese “le norme applicabili in caso di forza maggiore”);
d) l'imposizione, diretta o indiretta, di condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
l) l'imposizione di un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da una parte alla sua controparte”.
Questo comporta che nella vendita in piedi è inibita la cessione a forfait con accollo dei rischi al cessionario?
Riteniamo che non sia proprio così. Il contratto di vendita in piedi, come ogni accordo, deve soddisfare entrambe le parti. Solitamente, anche negli usi, tale accordo prevede che il corrispettivo di vendita fissato tra le parti, pur se fondato sulla qualità e quantità del prodotto che si prevede potrà essere acquisito dal cessionario, vede l’applicazione di un prezzo inferiore a quello che normalmente sarebbe praticato in caso di cessione diretta del medesimo prodotto.
Il minor prezzo è giustificato sia dal trasferimento, in capo all’acquirente, dei costi di raccolta ma anche da uno “sconto[1]” su quello che sarebbe stato il prezzo normale di mercato. Infatti, se non vi fosse un vantaggio anche per l’acquirente, quest’ultimo non avrebbe alcun interesse ad acquistare il prodotto con questa formula contrattuale, pretenderebbe invece di ricevere il prodotto già raccolto.
Tale “sconto”, da sempre sottinteso tra le parti, ora con la disciplina delle pratiche sleali introdotta dal D.Lgs. 198/2021, riteniamo debba essere formalizzato nell’accordo scritto tra le parti e debba essere motivato dal fatto che è concesso in quanto l’acquirente si accolla i rischi anche per le cause di forza maggiore.
Nell’accordo tra le parti, quando si intende trasferire ogni rischio al cessionario[2], sarà opportuno inserire una clausola nella quale sia precisato che, qualora si verifichi un evento di forza maggiore che determini un minor raccolto rispetto alle attese, il prezzo sarà ridotto di una percentuale oppure potrà essere anche fissato un diverso prezzo, da applicarsi qualora si verifichi tale condizione.
Sarà altrettanto importante stabilire quali sono le produzioni attese e la soglia oltre la quale deve essere attivata la predetta clausola. Per definire tale valore è possibile utilizzare come parametri di riferimento le medie produttive degli ultimi cinque anni così come rilevate dalla Banca Dati ISMEA, potendo anche applicare alle stesse degli ulteriori coefficienti legati a specifici fattori che possono incidere sulla produttività della piantagione (zona particolarmente vocata, particolare composizione del terreno, ecc.).
Circa il momento in cui sorge l’obbligo di emettere fattura, anche nell’ipotesi di vendita in piedi a forfait, occorre distinguere l’ipotesi in cui il corrispettivo pattuito sia pagato in anticipo da quella in cui il pagamento è fissato quando sono effettivamente avviate le attività di raccolta.
Nel primo caso, con il pagamento sorge, contestualmente, l’obbligo dell’emissione della fattura (o della rilevazione dei corrispettivi in caso di cessione a privati).
Nella seconda ipotesi occorre tener presente che la vendita in piedi rappresenta una fattispecie di vendita di cosa futura. Nel caso di cessione di prodotti agricoli, il trasferimento della proprietà avviene al momento dello stacco della frutta dalla pianta, dall’apprensione delle erbe o con il taglio del bosco.
Ai fini IVA, il momento impositivo, nel caso di cessione di beni mobili, si realizza al momento della consegna o spedizione. L’articolo 6 del D.P.R. 633/1972 indica, tuttavia, che qualora gli effetti traslativi si producano successivamente, l’operazione si considera effettuata al momento in cui si producono tali effetti. Pertanto, il momento impositivo, nel caso della vendita in piedi a forfait, non si realizza con la semplice consegna della piantagione, dato che le operazioni di raccolta potrebbero avvenire in un periodo successivo.
Nel caso di vendita in piedi a blocco, applicando un corrispettivo forfettario, il venditore non riesce a determinare esattamente quando avviene il momento impositivo (stacco del prodotto dalla pianta o dal suolo), cosicché, a livello pratico, riteniamo sia opportuno anticipare tale momento attraverso l’emissione di una fattura già a partire dalla sottoscrizione dell’accordo o entro il giorno in cui viene consegnata la piantagione al compratore.
Qualora, successivamente all’emissione della fattura, il raccolto venga in parte compromesso da eventi imponderabili e sia attivata la condizione contrattuale in base alla quale il prezzo debba essere ridotto, si procederà all’emissione di una nota di credito per il corrispondente valore.
Infine, appare invece contravvenire alle disposizioni contenute nell’articolo 5, D.Lgs. 198/2021, l’ipotesi di poter comunque addebitare all’acquirente un corrispettivo in caso di completa distruzione del prodotto.
Venendo meno l’oggetto del contratto per una causa di forza maggiore, l’accordo tra le parti potrà essere risolto. In tal caso, l’eventuale precedente emissione della fattura determina la necessità di una nota di credito dell’intero ammontare dell’operazione.
[1] Nella sostanza non si tratta di uno sconto ma di una definizione del prezzo tra le parti che tiene conto, tra l’altro, anche del trasferimento dei rischi correlati ai prodotti che saranno raccolti (variazioni rispetto alle stime sulla qualità o quantità del prodotto effettivamente raccolto, ecc.)
[2] Ad esclusione degli eventi dannosi provocati dal cedente.
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