Con la Risposta n. 366/2023, sono stati forniti chiarimenti riguardo la detassazione dei contributi e delle indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell’emergenza epidemiologica da COVID–19.
Nel caso oggetto di Risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’istante ha fruito - nel corso dei periodi d’imposta 2021 e 2022 - delle seguenti misure:
- accesso ad un finanziamento bancario con garanzia dello Stato a titolo oneroso rilasciata da SACE S.p.A. con finalità di liquidità (ai sensi dell'art. 1 D.L. n. 23/2020);
- fruizione della Cassa Integrazione Guadagni in Deroga (CIGD) prevista dall’art. 22 D.L. n. 18/2020 (Decreto Cura Italia).
La società istante ha interrogato l’Agenzia delle Entrate al fine di conoscere se i contributi fruiti per effetto delle predette misure rientrino nell'ambito oggettivo di applicazione del regime di detassazione generale, ai fini delle imposte sul reddito (IRPEF/IRES) e dell'IRAP, prevista per tutti i contributi concessi a seguito dell'emergenza COVID-19 dall'articolo 10-bis del Decreto Legge n. 137 del 2020[1].
In particolare, in base alla interpretazione del contribuente, gli aiuti fruiti, entrambi erogati attraverso ‘'la riduzione di un costo”, dovrebbero poter essere oggetto di detassazione ai fini IRES e IRAP, da attuare attraverso una variazione in diminuzione nel Modello Redditi 2022 e nel Modello IRAP 2022.
Ciò in quanto, secondo l’istante, nel periodo di emergenza della pandemia, la suddetta disposizione avrebbe consentito ai datori di lavoro di mantenere in organico lavoratori già specializzati nonostante la situazione di temporanea inoperatività, sollevandoli altresì dall'obbligo/onere di corrispondere loro le retribuzioni integralmente.
Di conseguenza, la CIGD rappresenterebbe un aiuto, oltre che per i dipendenti, anche per le imprese, idoneo a soddisfare i requisiti del citato articolo 10-bis, determinando la possibilità di operare una variazione in diminuzione pari alla differenza tra il ''teorico'' costo del lavoro (costo per le retribuzioni che le imprese avrebbero dovuto sostenere in assenza dei provvedimenti emergenziali) e la quota rimasta effettivamente a carico delle imprese.
La medesima impostazione, secondo la ricostruzione dell’interpellante, vale anche per la concessione della garanzia dello Stato in riferimento al finanziamento richiesto dalla società, che configurerebbe, anche in questo caso, un contributo fruito sotto forma di minor costo, detassabile ai sensi del citato articolo 10-bis e di importo pari al costo non sostenuto per la garanzia da finanziamento.
Dal punto di vista contabile, la società istante fa presente di aver rilevato a conto economico entrambi gli aiuti fruiti sotto forma di “minor costo”, senza indicare tra i ricavi un corrispondente contributo in conto esercizio. In alternativa come precisato nell’interpello, “avrebbe potuto rilevare in contabilità l'intero importo del costo sostenuto, al lordo dell'aiuto, a fronte di un contributo, in conto esercizio da indicare tra i ricavi”.
L’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto di condividere quanto prospettato del contribuente.
Invero, ai fini dell'applicazione del citato regime di detassazione, l’Ufficio ritiene costituisca un presupposto imprescindibile la circostanza che al soggetto destinatario sia assegnato un beneficio che comporti un vantaggio economico effettivo e quantificabile che la norma indica in maniera generica come contributo o indennità, che consiste, in sostanza, in una integrazione di ricavi oppure in una partecipazione (totale o parziale) al sostenimento di determinati costi, purché rimasti a carico dal soggetto beneficiario.
Risulta invece che l'accesso alla CIGD che pone, in tutto o in parte, a carico dell’INPS la retribuzione del lavoratore, incide sulla genesi stessa del debito per retribuzioni dovute dal datore di lavoro, traducendosi nel venir meno di un costo di quest'ultimo per tutta la durata della misura. Di conseguenza, l’integrazione salariale da parte dell’INPS al lavoratore non rappresenta un contributo in conto esercizio dell'impresa inteso in senso tecnico come ristoro di costi sostenuti.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento alla seconda misura agevolativa oggetto del quesito proposto, ovvero l’accesso ad un finanziamento bancario con garanzia dello Stato. Anche in riferimento a tale fattispecie, per effetto dell'accesso alla misura, l'imprenditore non vede sorgere il corrispondente debito di talché, anche in questo caso, il beneficio non si traduce in un contributo in conto esercizio dell’impresa inteso in senso tecnico come ristoro di costi sostenuti.
L’Ufficio ha ritenuto che nessuna delle due misure agevolative fruite dal contribuente istante rientri nell'ambito di applicazione del regime di detassazione dei contributi COVID-19, disciplinato dal citato articolo 10-bis del Decreto Legge n. 137 del 2020, in assenza del presupposto oggettivo, vale a dire l'erogazione di un contributo a riduzione del costo sostenuto dalla società.
[1] “1. I contributi e le indennità di qualsiasi natura erogati in via eccezionale a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e diversi da quelli esistenti prima della medesima emergenza, da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di fruizione e contabilizzazione, spettanti ai soggetti esercenti impresa, arte o professione, nonchè ai lavoratori autonomi, non concorrono alla formazione del reddito imponibile ai fini delle imposte sui redditi e del valore della produzione ai fini dell'Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) e non rilevano ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
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