Le norme che regolano il settore agricolo si sono stratificate nel tempo per adeguare la disciplina civilistica e fiscale all’evoluzione della tecnica agraria, del mercato e della società. Il Legislatore, preso atto del disallineamento tra il quadro normativo di riferimento del settore ed il contesto attuale, ha ritenuto opportuno intervenire, con il D.Lgs. n. 228/2001, c.d. Legge di orientamento e modernizzazione del settore agricolo, riscrivendo la definizione di imprenditore agricolo di cui all’art. 2135, Codice Civile, stabilendo le basi normative affinché anche il settore agricolo possa svilupparsi nel nuovo scenario socioeconomico.
I principi della Legge di orientamento, coordinati con la disciplina comunitaria, hanno a loro volta dato il via ad una serie di norme volte ad adeguare, anche sul piano fiscale, l’attività agricola, nonché ad interventi per coordinare alcune discipline del settore.
Sono stati quindi molteplici, in questi ultimi 20 anni, gli interventi sulla disciplina fiscale relativa all’impresa agricola e, nonostante tutto, vi sono ancora delle fattispecie di attività che, seppur molto comuni, sono prive di un coordinamento tra le diverse discipline.
Uno dei meriti della riforma del 2001 è quello di aver definito, nell’ambito delle attività agricole, quelle attività ove è presente la cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso, di carattere vegetale o animale, ammettendo la possibilità che le stesse utilizzino o possano utilizzare fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Il fatto che l’utilizzo del fondo sia anche solo potenziale, fa rientrare tra le attività agricole tutta una serie di tecniche colturali ormai diffuse (coltivazioni in ambienti protetti, coltivazioni idroponiche, vertical farm, ecc.) e la cui importanza strategica è sempre più evidente. Si tratta di tecniche che consentono di avere la disponibilità di:
- materiale vegetale “sano” (ad esempio piantine per la realizzazione di impianti produttivi), consentendo di evitare possibili contaminazioni del territorio;
- produzioni con assenza di fitofarmaci e contestuale riduzione delle risorse idriche ed energetiche;
- produzioni alimentari non soggette agli andamenti climatici.
Sul piano fiscale, tuttavia, le attività agricole sono caratterizzate dalla determinazione del reddito su base fondiaria. Pertanto, il collegamento dell’attività agricola con il terreno diventa fondamentale e ciò genera un evidente cortocircuito quando l’attività agricola non è svolta su di un terreno, come nell’ipotesi di attività di coltivazioni indoor, ossia all’interno di immobili accatastati come fabbricati, sprovvisti di reddito agrario.
La riforma del catasto e le implicazioni per la fiscalità agricola
Con il D.L. n. 557/1993 è stata disposta l’istituzione del catasto dei fabbricati con lo scopo di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio. L’art. 9, D.L. n. 557/1993, prevede che: “il Ministero delle finanze provvede al censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e alla loro iscrizione, mantenendo tale qualificazione, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la denominazione di catasto dei fabbricati”.
Con il D.M. 2 gennaio 1998 sono stati poi individuati gli immobili oggetto del censimento catastale, precisando che non costituivano oggetto di inventariazione le: “serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale”. Lo stesso decreto prevedeva poi che fossero: “considerate unità immobiliari i manufatti prefabbricati ancorché semplicemente appoggiati al suolo, quando siano stabili nel tempo e presentino autonomia funzionale e reddituale”.
Il Ministero delle Finanze era intervenuto (Circolare n. 3/C1/572 del 9 settembre 1993) chiarendo che i manufatti destinati alla protezione delle piante non potevano essere oggetto del censimento in quanto, altrimenti, non sarebbe stato possibile definire il reddito dell’attività agricola come previsto dalla disciplina dei redditi fondiari.
Tale chiarimento era stato fornito in quanto erano sorti dei dubbi circa l’applicazione della norma introdotta con il comma 4-bis, all’art. 28, TUIR. Tale norma, volta a regolare la tassazione di alcune attività innovative, prevedeva che “Il reddito dominicale delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura, in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale, è determinato mediante l'applicazione della tariffa d'estimo più alta in vigore nella Provincia”.
Tuttavia, il Ministero faceva riferimento alle strutture produttive per la coltivazione e la protezione delle piante sul suolo agricolo, come tali iscritte al catasto terreni, con attribuzione di reddito agrario.
Il catasto dei fabbricati, a partire dal 2012, è divenuto una realtà; molte delle strutture oggi utilizzate per la coltivazione di vegetali sono censite al catasto fabbricati nella categoria D/10 e sono, pertanto, prive di reddito agrario.
Nella delega fiscale, si apre alla possibilità di istituire delle nuove tariffe d’estimo applicabili alle nuove colture ed alle nuove tecniche produttive. Andrebbe però anche chiarito come attribuire tali redditi ai fabbricati rurali strumentali destinati alle produzioni vegetali.
Riteniamo pertanto che la legge di riforma si dovrà occupare anche dell’aggiornamento del citato comma 4-bis, consentendo l’applicazione delle tariffe d’estimo anche alle superfici produttive all’interno degli immobili censiti come fabbricati rurali strumentali.
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