La Cassazione ha enunciato il principio per cui il finanziamento soci - in presenza di una serie di circostanze - deve ritenersi reimmissione in azienda di utili occulti.
Nella Ordinanza n. 27366 del 26 settembre 2023, i Giudici della Suprema Corte hanno espresso alcuni interessanti principi in materia di finanziamento soci e presunzione di evasione in capo alla società finanziata, oltre che riguardo alla ripartizione dell’onere della prova tra Ufficio e contribuente.
In linea generale, la pretesa impositiva degli Uffici si basa spesso su argomentazioni scaturenti da operazioni di finanziamento effettuato dai soci.
Mentre solitamente il finanziamento soci è un campanello d’allarme per l’Agenzia delle Entrate, nel caso della Sentenza in commento tale operazione è stata posta alla base di una presunzione di ricavi occultati dalla società in misura pari al finanziamento stesso. Tali ricavi, in sede di accertamento, sono di conseguenza imputati ai soci stessi, in applicazione della normativa antielusiva.
Nel seguito verranno illustrati il caso oggetto di pronuncia ed i principi espressi in sentenza dalla Cassazione.
Il caso
Il caso affrontato dai Giudici riguardava un avviso di accertamento notificato ad una società con il quale erano individuati ricavi non dichiarati per euro 825.000,00 (ai fini IRES, IRAP ed IVA) in quanto, secondo l’Agenzia (ed anche secondo la Cassazione, come si dirà nel seguito), contabilmente occultati da parte dei soci che avevano “simulato” una serie di loro finanziamenti alla società.
I principi espressi dalla Cassazione
La Cassazione ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del contribuente, alla luce dei seguenti principi.
In primo luogo, i Giudici hanno affermato che “la legittimità di un finanziamento soci, opponibile al Fisco, richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili”: diversamente, l'erogazione finanziaria viene ritenuta una reimmissione in azienda di utili occulti. La Cassazione stessa cita un suo precedente, Sentenza n. 17322 del 17 giugno 2021.
In tale senso, secondo la Corte, deporrebbe il disposto dell'art. 2467 C.C., rubricato “finanziamenti dei soci” in forza del quale "[…] Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.
Dalla predetta previsione del Codice Civile, si evincerebbe come la giustificazione dei finanziamenti a favore della stessa non possa fondarsi unicamente sulla deduzione della loro necessità e opportunità, ma debba fondarsi quantomeno sulla individuazione di elementi, anche indiziari, non solo dedotti ma anche provati dal contribuente, atti a dimostrare la ragionevolezza del finanziamento a fronte delle necessità dell'ente societario. Viene richiesta esplicitamente di provare anche la convenienza del finanziamento soci quale utile alternativa al ricorso al credito bancario.
Secondo la Cassazione, è onere del contribuente (società in questo caso) provare la effettiva provenienza del denaro oggetto dei finanziamenti dei soci, in particolare dando prova che gli stessi avessero la disponibilità finanziaria sufficiente per eseguire i finanziamenti, producendo idonea documentazione.
Conclusioni
Secondo la dottrina, le argomentazioni della Cassazione in relazione all’onere della prova sarebbero in contrasto con i nuovi principi posti dall’art. 7 comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1997, alla luce del quale: “[…] Il Giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, […] le ragioni oggettive sui cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. […]”. Invero non potrebbe la sola assenza della delibera assembleare comportare un rilievo di evasione.
Potrebbe, invece, il finanziamento soci costituire una presunzione priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza nell’ambito di un accertamento induttivo ove il contribuente ha posto in essere inadempienze gravi (es. gravi irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, omessa dichiarazione).
Inoltre viene osservato che, dovendo dimostrare - secondo la Cassazione - come il tenore di vita del socio sia compatibile con l’erogazione del finanziamento, l’onere della prova grava di fatto su di un soggetto diverso (società) rispetto al socio, in possesso direttamente delle suddette informazioni. L’assolvimento di tale onere della prova sembra quindi “riservato” a quelle società all’interno delle quali non vi siano dissidi fra la compagine sociale.
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