Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
La riscrittura del terzo comma dell’art. 2135 del Codice Civile, operata dalla Legge di Orientamento del 2001 (D.Lgs. n. 228/2001), con l’aggiunta tra le attività connesse quelle “dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata”, consente di valorizzare la multifunzionalità dell’attività agricola: si è realizzato così il riconoscimento “civilistico”, quindi a valenza generale, di un principio già presente, per altri fini, nella normativa comunitaria.
Anche la normativa fiscale è stata allineata alla norma civilistica, con l’introduzione di un regime forfettario sia per la determinazione del reddito (art. 56-bis del TUIR) che ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (art. 34-bis del D.P.R. n. 633/1972).
Si può sicuramente affermare che il riconoscimento giuridico della multifunzionalità ha contribuito al rafforzamento dell’economia agricola poiché ha favorito investimenti innovativi e contribuito alla diversificazione delle attività economiche nel sistema locale di sviluppo rurale. Multifunzionalità come fattore di sviluppo e nel medesimo tempo di presidio del territorio.
La possibilità di integrare le attività prettamente agricole con altre, prima considerate commerciali, sfruttando le risorse aziendali, ha consentito a molti agricoltori, nel rispetto dei limiti della “normalità” e della “prevalenza”, di massimizzarne l’impiego e così ottenere una maggior efficienza dei fattori produttivi.
Accanto al trattore e all’aratro sono apparsi altri macchinari ed attrezzature, quali, ad esempio, quelli funzionali alla molitura delle olive, al processo di vinificazione, di imbottigliamento, alla lavorazione della frutta, alla macellazione degli animali.
La riflessione che intendiamo qui sviluppare riguarda la corretta interpretazione della norma, al fine di individuare i limiti imposti dalla locuzione normativa “impiegate nell’attività agricola esercitata”. In buona sostanza occorre comprendere se il Legislatore abbia inteso riferirsi ai soli macchinari impiegati nell’attività agricola principale (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) oppure se possano essere utilizzate anche attrezzature impiegate nelle attività agricole connesse, quali, ad esempio, quelle utilizzate per la manipolazione o la trasformazione dei prodotti agricoli.
La distinzione non è di poco conto, poiché se si dovesse accedere all’interpretazione più restrittiva significherebbe che ogni qual volta i servizi vengano svolti con l’impiego di macchine utilizzate nell’ambito delle attività agricole connesse ci potremmo trovare al cospetto di servizi di natura “extra agricola” che non solo non potrebbero rientrare nel regime di determinazione forfettario del reddito di cui all’art. 56-bis del TUIR (25%), ma sarebbero anche in grado di inficiare il requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole, necessario al mantenimento dello status di società agricola. La possibile natura extra agricola dei servizi avrebbe poi, inevitabilmente, riflessi sulla classificazione dell’impresa quale datore di lavoro e, per le persone fisiche, sulla qualifica professionale di IAP o di Coltivatore Diretto.
Alcuni uffici dell’Agenzia hanno adottato l’orientamento maggiormente restrittivo, sulla base del fatto che la Circolare 44/E/2002 fa esplicito riferimento alle attrezzature utilizzate nell’attività agricola principale: “le attrezzature agricole non devono essere impiegate nell’attività connessa in misura prevalente rispetto all'utilizzo operato nell’attività agricola di coltivazione del fondo, del bosco o di allevamento.”.
Alla luce di ciò, viene negato l’inquadramento nell’ambito delle attività agricole connesse a quei servizi che, seppur svolti nei limiti della prevalenza e della normalità, vengono effettuati utilizzando attrezzature che non sono adibite all’esercizio dell’attività di coltivazione/allevamento/silvicoltura ma sono utilizzate nell’attività connessa di trasformazione dei propri prodotti agricoli. É il caso, ad esempio, di un impianto di vinificazione perfettamente dimensionato per lavorare le uve proprie (quindi, nel pieno rispetto del requisito della normalità) che viene altresì utilizzato anche per la lavorazione delle uve in conto terzi.
Questa interpretazione non è condivisibile. Infatti, dal tenore letterale del comma 3 dell’art. 2135 c.c. pare sufficientemente chiara la volontà del Legislatore, quando utilizza la locuzione “attività agricola esercitata”, nel volersi riferire all’intera attività agricola svolta dall’imprenditore, necessariamente comprensiva anche delle attività agricole connesse. Alle medesime conclusioni si dovrebbe giungere anche seguendo un criterio interpretativo di ordine logico sistematico, infatti il primo comma dell’art. 2135 annovera fra le attività agricole, oltre la coltivazione, l’allevamento e la silvicoltura, anche le attività agricole connesse.
D'altronde, se la ratio sottesa all’inserimento dei servizi fra le attività agricole connesse è quella di consentire all’imprenditore agricolo di sfruttare al meglio gli investimenti necessari per lo svolgimento della propria attività (si veda, in proposito l’art. 8, comma 1, lettera l, della Legge Delega n. 57/2001), non si vede per quale motivo si dovrebbero escludere dai servizi esercitabili per conto terzi le attrezzature volte a completare il ciclo della propria produzione agricola.