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Molte imprese agricole italiane sono ancora oggi rappresentate da imprese individuali nelle quali vi è un titolare che opera, eventualmente, con il supporto dei familiari e, al bisogno, di operai. La figura del Coltivatore Diretto o della famiglia coltivatrice in alcuni casi si è evoluta, formalizzando una vera e propria impresa familiare.
L’articolo 230-bis del Codice Civile offre la definizione dell’impresa familiare e precisa che nella nozione di “familiare” sono compresi:
Pertanto, nell’impresa familiare possono collaborare solamente il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
È evidente come, anche solo dal punto di vista soggettivo, nel corso della sua vita, l’impresa familiare possa collidere con la necessità di fare entrare nell’esercizio dell’attività agricola anche altri soggetti, non sempre riconducibili alle suddette figure. Ciò non solo per una questione di ricambio generazionale ma, a volte, anche per poter ampliare l’attività svolta.
Altro aspetto a cui occorre prestare attenzione riguarda il fatto che tra i diritti spettanti al familiare collaboratore vi è il diritto al mantenimento, che deve essere ragguagliato alla condizione patrimoniale della famiglia. La quantificazione del diritto al mantenimento deve tenere conto della situazione economica dell’impresa e della famiglia. Tale quantificazione non dipende dalla qualità o quantità del lavoro prestato.
I partecipanti all’impresa familiare hanno anche il diritto a partecipare agli utili realizzati dall’impresa e ai beni acquistati mediante il loro impiego, nonché il diritto di partecipazione agli incrementi dell’azienda, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Tale diritto sorge in capo ai familiari lavoratori nel momento in cui vengono prodotti degli utili all’interno dell’impresa, anche se ciò non comporta la loro necessaria distribuzione ai soggetti interessati. Nell’impresa familiare non è previsto un obbligo di rendiconto annuale. Sarà pertanto una decisione dei familiari presa a maggioranza a decidere sul rendiconto o comunque sull’impiego degli utili.
La determinazione degli utili dovrà prevedere lo scomputo dall’importo lordo dei profitti di tutte le passività che l’impresa ha dovuto affrontare ed anche la quota di remunerazione dei beni conferiti dall’imprenditore.
Quando sorgono dei conflitti tra i familiari, la gestione dell’impresa diventa particolarmente complessa.
Le ragioni che spingono gli imprenditori a prediligere la forma societaria sono diverse. In genere il titolare dell’impresa familiare è il capofamiglia e, con il trascorrere degli anni, tale figura potrebbe essere incompatibile con l’accesso a forme di contributi riservati ai giovani imprenditori. Altre volte il titolare dell’impresa potrebbe non essere più in grado di lavorare o comunque potrebbero sorgere divergenze di vedute sulle direttrici che si vogliono dare all’impresa. Queste sono alcune delle ragioni per le quali l’impresa familiare ha visto negli anni come naturale evoluzione la società semplice, ovvero una forma societaria agile, che può accedere ai benefici fiscali propri del settore agricolo ed ai contributi comunitari.
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