Da diversi decenni, l'uso dei contratti di soccida nella filiera zootecnica è notevolmente aumentato, diventando la modalità predominante di gestione negli allevamenti.
Tale contratto ha origini antiche ed è regolato dall'articolo 2170 del Codice Civile. In particolare, il Legislatore ha previsto che con il contratto di soccida viene a crearsi un rapporto di tipo associativo tra soccidante e soccidario per l'allevamento e lo sfruttamento di un certo numero di bestiame, con la divisione dei prodotti e degli utili, sulla base degli accordi liberamente presi tra le parti.
In origine questa tipologia di contratti associativi era sorta per consentire al piccolo allevatore di beneficiare del potere contrattuale del soccidante, spesso un'impresa più grande, fruendo indirettamente dell’economie di scala negli acquisti di animali e mangimi, oltre a ricevere supporto gestionale e accesso a un mercato diversificato. Oggi, oltre a questi aspetti, se ne sono aggiunti altri, sovente legati a necessità di mercato, che richiede operatori in grado di fornire elevati quantitativi di prodotto nel rispetto di sempre più stringenti disciplinari di produzione e qualità.
Oggi, il contratto di soccida più diffuso è quello della soccida semplice in base al quale, il soccidante fornisce gli animali e i mangimi, mentre il soccidario offre strutture e attrezzature e gestisce l'allevamento. Alla fine del ciclo, soccidante e soccidario condividono gli incrementi di bestiame e i profitti. Nei contratti di ingrasso o riproduzione, al soccidario possono essere assegnati i capi maturati o, se concordato, la monetizzazione.
Nonostante gli standard di qualità richiedano protocolli rigidi, il soccidario deve mantenere un grado di autonomia nell'esecuzione delle attività, al fine di evitare riqualificazione del contratto. In particolare, anche il soccidario deve subire il rischio d’impresa. Infatti, qualora egli apportasse il solo lavoro e percepisca un compenso prestabilito o comunque non soggetto all’alea del rischio d’impresa, il rapporto potrebbe essere ricondotto ad un rapporto di appalto o d’opera. Pertanto, il soccidario, deve prestare la propria opera per la custodia degli animali, l’allevamento e per la lavorazione dei prodotti dell’attività comune, seguendo le direttive del soccidante. Infatti, come stabilito dall’articolo 2173 del c.c.” La direzione dell'impresa spetta al soccidante, il quale deve esercitarla secondo le regole della buona tecnica dell'allevamento”. Al soccidario , nel prestare la propria opera secondo le direttive del soccidante, è richiesto di usare la diligenza del buon allevatore (art. 2174 c.c.). Dagli accordi tra le parti, dalla documentazione contrattuale e dall’effettiva attività svolta, deve pertanto trasparire che non vi è un rapporto di subordinazione tra soccidante e soccidario.
Le criticità del contratto di soccida semplice nell'allevamento
Come abbiamo detto, il contratto di soccida semplice rappresenta una pratica consolidata nell'allevamento degli animali, tuttavia, continua a presentare diverse criticità nella sua gestione, soprattutto sotto il profilo fiscale.
Una delle criticità a cui le parti devono fare attenzione è la complessità fiscale che circonda il contratto di soccida. L'applicazione delle normative fiscali può essere soggetta a interpretazioni diverse, creando incertezza e complicazioni per gli allevatori.
In conclusione, mentre il contratto di soccida semplice rimane una pratica diffusa nell'allevamento degli animali, è essenziale affrontare le criticità fiscali ad esso associate. Attraverso chiarezza normativa, formazione e supporto, gli allevatori possono gestire in modo più efficace le questioni fiscali legate ai loro contratti di soccida.
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