Nel settore del florovivaismo molto spesso ci si trova al cospetto di accertamenti con cui l’Amministrazione Finanziaria contesta l’applicabilità della determinazione del reddito su base catastale per i corrispettivi percepiti in relazione alle attività accessorie alla vendita delle piante, quali, ad esempio, il servizio di piantumazione in loco, la steccatura, la fornitura di terriccio e di vasi e così via.
Infatti, secondo l’interpretazione di alcuni Uffici, questo tipo di attività sarebbe esclusa dalla determinazione del reddito su base catastale di cui all’art. 32 del TUIR (applicabile alla sola vendita delle piante coltivate) e dovrebbe essere quindi inquadrata nell’ambito del reddito di impresa.
In sostanza occorre chiarire il concetto di “accessorietà” dell’attività di messa a dimora delle piante vendute rispetto all’attività agricola principale di coltivazione.
La problematica in esame è stata risolta definitivamente nel 1976, quando la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha espresso il seguente principio “Ai fini della distinzione fra reddito agrario e reddito commerciale od industriale, secondo i criteri dettati dall’art. 30 L. 8 giugno 1936 n. 1231 e dall’art. 65 TUID (D.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645), nella nozione di “normale ciclo produttivo agrario” vanno comprese la trasformazione e manipolazione del prodotto del suolo, fino al momento in cui venga reso consumabile e vendibile, e, quindi, anche il collocamento del prodotto medesimo, ove questo sia strumentale al miglior godimento del suolo, e non si concretizzi in un’autonoma impresa commerciale od industriale, estranea alla coltivazione del fondo. Ne consegue con riguardo alla produzione agricola di piante in vivaio che l’attività di messa a dimora delle piante medesime sui fondi degli acquirenti non può essere di per sé considerata come separata e scissa dal “normale ciclo” di quella produzione, in quanto, nel concorso delle indicate circostanze, essa configura un complemento del ciclo medesimo.” In tal senso, Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 2684 del 13/07/1976.
Con la richiamata sentenza, la sezione più autorevole della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che tutte le prestazioni (materiale e manodopera) necessarie alla messa a dimora delle piante sui fondi degli acquirenti non possono essere considerate autonomamente, ma vanno necessariamente ricomprese nell’ambito dell’attività agricola principale di coltivazione. Infatti, queste operazioni sono funzionali e necessarie, quindi accessorie, alla vendita stessa delle piante.
L’orientamento della Corte di Cassazione è stato confermato poi anche dalla stessa Amministrazione Finanziaria che, con la Risoluzione n. 9/2810 del 7 febbraio 1981, ha ritenuto “l’attività di collocamento in luogo delle piante” una naturale modalità di vendita dei prodotti del vivaio, per la quale trovano applicazione le disposizioni contenute nell’art. 28 del TUIR (ora art. 32 del TUIR).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, è evidente che l’orientamento sostenuto oggi dall’Amministrazione Finanziaria non può in alcun modo essere ritenuto condivisibile, poiché anche i corrispettivi percepiti per le attività accessorie alla vendita della pianta devono essere ricompresi nella determinazione del reddito su base catastale.
Ovviamente, affinché il presupposto dell’accessorietà possa considerarsi rispettato è indispensabile che il bene principale dell’operazione in termini di valore sia la pianta. Inoltre, in fattura deve essere ben evidenziato che i corrispettivi per le operazioni accessorie sono soggetti ad imposizione IVA ai sensi di quanto previsto dall’art. 12 del D.P.R. 633/72.
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