Con la recente sentenza n. 8542/2016, la Corte di Cassazione ha riqualificato in cessione d’azienda una operazione complessa di conferimento in natura in una società con successiva cessione delle quote, ignorando, di fatto, l’esistenza della nuova disciplina dell’abuso del diritto introdotta dal D.Lgs. 128/2015.
La riqualificazione viene posta in essere dalla Corte in base all’art. 20 del TUR (DPR 131/1986), il quale afferma che “l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
Sulla base di tale norma, la Cassazione afferma che “l’amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessione totalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l’intento elusivo delle parti, attesa l’identità della funzione economica dei due contratti, consistente nel trasferimento del potere di godimento e disposizione dell’azienda da un gruppo di soggetti a un altro gruppo o individuo”.
I Giudici di legittimità dimenticano che a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 10 bis, comma 1, del D. Lgs. 128/2015, sono qualificabili come elusive “le operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” quando tali atti risultino “inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”.
Nel tenore di tale norma, quindi, non può mai essere configurato un abuso quando l’operazione è qualificabile come un legittimo risparmio di imposta, nonché nel caso di violazioni di disposizioni tributarie (quindi di evasione).
Per configurare un abuso, nella nuova disciplina, occorrono quindi:
- Il raggiungimento di un risultato giuridico non vietato dall’ordinamento (in caso contrario si ha evasione);
- La liceità e la maggiore convenienza del percorso utilizzato tra quelli possibili;
- L’essenziale obiettivo di ottenere “vantaggi fiscali indebiti”, in sostanza devono essere assenti le valide ragioni economiche.
Con l’introduzione della richiamata normativa, l’art. 20 del TUR deve necessariamente abbandonare la veste di norma antielusiva e tornare ad essere interpretato in senso letterale: per la tassazione non bisogna guardare la forma del singolo atto ma verificarne la sostanza.
Pertanto, se una vicenda contrattuale è composta da un atto di conferimento e da una successiva cessione di partecipazioni, l’articolo 20 non può essere utilizzato per riqualificare l’operazione come unico negozio.
Infatti, a queste finalità è destinato l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente che, a nostro avviso, risulta inapplicabile, poiché nel caso in esame non si realizzano essenzialmente “vantaggi fiscali indebiti”.
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