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Tra le importanti novità contenute nel nuovo collegato agricolo approvato il 6 luglio al Senato, c’è da segnalare un traguardo storico per tutto il settore birrario italiano.
L’art. 35 del disegno di legge votato e ancora in attesa di pubblicazione, infatti, dà per la prima volta a livello normativo, la definizione di birra artigianale.
Il testo normativo stabilisce che “si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui e la cui produzione annua non superi 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di birra prodotte per conto di terzi”.
La principale conseguenza di tale novità, consiste nella possibilità di inserire la dicitura “birra artigianale” in etichetta: tale condotta era stata spesso sanzionata, in quanto la vetusta legge 1354/1962 prevedeva la possibilità di indicare, oltre al marchio, le sole diciture “birra analcolica”, “birra leggera o birra light”, “birra speciale” o “birra a doppio malto”.
Un altro aspetto fondamentale su cui la nuova previsione normativa va ad incidere, riguarda la limitazione del numero di soggetti aventi i requisiti necessari per la produzione di “birra artigianale”.
Spesso, infatti, nell’anarchico regime previgente, anche alcuni grandi birrifici si arrogavano il diritto di dichiarare la propria birra o alcune linee come prodotta in maniera artigianale. Ora, invece, solo i piccoli produttori, in virtù del nuovo art. 2, comma 4-bis della L. 1354/1962, potranno fregiarsi di tale titolo.
Oltre alla birra artigianale, si ricorda che esiste anche la categoria delle cosiddette “birre agricole”. Il DM 212/2010 ha infatti introdotto la “produzione di malto e birra” tra le attività che possono essere qualificate come attività connesse ai fini delle imposte sui redditi.
Per poter essere tale, la birra agricola deve essere prodotta dal coltivatore utilizzando prevalentemente i propri prodotti.
Sempre il collegato agricolo ha poi sancito l’impegno dell’ordinamento, compatibilmente con le risorse economiche e la disciplina UE degli aiuti di Stato, nel favorire il “miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione nel settore del luppolo e dei suoi derivati”. Infatti, la produzione del luppolo in Italia è, al momento, ancora minima e insufficiente a coprire il fabbisogno dei birrai italiani che sono costretti a rifornirsi all’estero.
Si tratta dei primi passi fatti dal legislatore, al fine di dare tutela e supporto ad un settore in grande crescita (negli ultimi dieci anni i microbirrifici sono aumentati del 1900%), ma ancora non basta.
Si attende, infatti, una riduzione delle accise che anche i microbirrifici sono obbligati a pagare sulla base della birra prodotta e non su quella venduta. Questo sistema è decisamente penalizzante: se per le grandi industrie è più semplice predeterminare il numero delle vendite, per un piccolo birrificio artigianale pare, invece, un’operazione decisamente più complessa. Tale riduzione, quindi, avrebbe importanti ripercussioni positive che potrebbero dare ulteriore spinta al settore.