Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Può capitare che un imprenditore individuale o un professionista utilizzi la propria abitazione anche come studio o luogo di lavoro. Sulla base di ciò, questi potrà usufruire di alcune opportunità fiscali, tra cui la possibilità di operare deduzioni e detrazioni di alcuni costi e di alcune spese.
Uno dei profili più complessi riguarda le forniture di energia elettrica e il loro regime IVA. In linea generale, per le cessioni di energia elettrica si applica l’aliquota ordinaria del 22%.
Al contempo, però, la Tabella A, parte III, del DPR 633/1972, stabilisce al punto 103 che si utilizza l’aliquota ridotta del 10% per le compravendite di “energia elettrica per uso domestico”.
Ci si è chiesti quindi come calcolare l’imposta sul valore aggiunto per quelle forniture fatte presso quegli edifici utilizzati, come predetto, ad uso promiscuo di abitazione e studio.
Sul tema, la posizione maggioritaria sostiene che vada applicata l’aliquota IVA ordinaria del 22%. Tale orientamento è stato confermato anche dall’Agenzia con la circolare 82/E/1999.
Questo si afferma sulla base di tre presupposti:
In sostanza, riteniamo possibile applicare l’aliquota ridotta del 10% nei locali ad uso promiscuo solo nel caso in cui venga installato un apposito contatore dell’energia somministrata che permetta di distinguere i consumi domestici da quelli relativi all’impresa (così come precisato dalla risoluzione 150/E/2004).
Inoltre, occorre tenere in considerazione che se si dichiara l’uso esclusivo domestico dell’abitazione per usufruire dell’aliquota Iva del 10%, il professionista o l’imprenditore che vi svolge anche la propria attività non potrà detrarre la relativa imposta e dedurre il relativo costo, in quanto verrebbe meno l’inerenza della spesa all’esercizio dell’attività di impresa o professionale.