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È reato smaltire deiezioni animali di terzi senza predisporre la necessaria documentazione: lo ha stabilito la Cassazione, sez. III penale, con la sentenza n. 35588 del 29 agosto 2016.
La Corte si è pronunciata sul caso di un titolare di un’impresa di trasporto di animali vivi per conto terzi e proprietario di una stalla di sosta: questi si era disfatto della “frazione solida” delle deiezioni degli animali (materie fecali) che smaltiva invece che come rifiuti da discarica, come materiale per "pratiche agronomiche" (concimazione del campo), senza però documentare con appositi atti e scritti tali pratiche.
L’imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio, sosteneva che i reflui zootecnici risultavano connessi all’attività agricola e che, in quanto destinati alla concimazione del fondo agricolo, non si rendeva applicabile la disciplina di cui al D. Lgs. 152/2006, a prescindere dalla documentazione predisposta, in ossequio al principio di effettività.
La Cassazione, nella sua argomentazione afferma che le materie fecali non rientrano, ai sensi dell’art. 185 del D. Lgs. n. 152 del 2006, nell’ambito della disciplina dei rifiuti:
Viceversa, quando esse non provengono da un’attività agricola ma, come nel caso esaminato, da un'attività di trasporto di bestiame per conto terzi, vanno considerate quali rifiuti “speciali” e come tali devono essere trattate, in quanto non possono essere riutilizzate nella medesima attività da cui hanno origine.
Inoltre, conclude la Corte, l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzazione agronomica dei liquami ricade su colui che ne invoca l’applicazione: spettava al trasportatore, quindi, dimostrare puntualmente quale utilizzo era stato fatto e con quali modalità erano stati smaltiti tali scarti.
In assenza delle predette condizioni, quindi, il trasportatore veniva condannato al pagamento dell’ammenda di 1.500 €.