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Con la risoluzione n. 10711 del 13 gennaio 2017, il Ministero per lo Sviluppo Economico prova a restringere il campo della vendita diretta: il consumo immediato dei prodotti agricoli non può essere fatto fuori dai locali aziendali.
Il Ministero è giunto a tale conclusione analizzando il quesito presentato da una Provincia, la quale richiedeva se un imprenditore agricolo potesse procedere ad attività di vendita diretta tramite l’utilizzo di thermos per la cessione di bicchieri di succo di uva caldo e vino. Nessuna somministrazione era prevista nel caso, visto che il cliente doveva servirsi autonomamente. Inoltre, chiedeva la Provincia, se tale attività potesse essere svolta anche nell’ambito di vendite itineranti, fuori dai locali aziendali.
Quanto al primo quesito, il MISE correttamente ritiene ammissibile la possibilità di posizionare sul banco di vendita all’interno del locale un apparecchio thermos per la vendita in bicchieri usa e getta di succhi di frutta o di vino, ottenuti da attività di trasformazione dei prodotti agricoli, laddove ovviamente il cliente si serva in modo autonomo senza l’intervento di alcun operatore e quindi senza che si configuri il servizio assistito.
Decisamente più controversa è la risposta al secondo quesito. La norma di riferimento è l’art. 4, comma 8-bis, del D. Lgs. 228/2001, il quale prevede che “nell'ambito dell'esercizio della vendita diretta è consentito il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell'imprenditore agricolo, con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienico-sanitario”.
Sulla base di un’interpretazione ingiustificatamente restrittiva della norma, il MISE ha affermato che l’attività di consumo dei prodotti agricoli può essere fatta soltanto all’interno dei locali aziendali e non “nei casi di vendita in forma itinerante, su posteggi dati in concessione, nelle vendite su superfici all’aperto nell’ambito dell’azienda agricola nonché in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, benefico o politico o di promozione dei prodotti tipici o locali”.
Tale posizione non può essere minimamente condivisa.
Essa, infatti, non coglie lo spirito della disciplina del D. Lgs. 228/2001 e introduce una ingiustificata discriminazione sulla base di come uno stesso prodotto agricolo viene consumato.
Si consideri il caso del succo d’uva prodotto dall’azienda agricola e da essa venduto direttamente. Se il succo viene imbottigliato, esso potrà essere venduto sia in azienda che in via itinerante. Se, invece, il succo viene messo a disposizione dei clienti per il consumo, tale attività potrà essere svolta nei locali aziendali, ma non fuori da questi, pur nel rispetto delle necessarie prescrizioni igienico-sanitarie.
Riteniamo, inoltre, che l’impostazione del MISE voglia complicare un quadro che, invece, è e deve restare semplice: nell’ambito della vendita diretta vanno ricomprese tutte le attività di commercializzazione di prodotti agricoli, all’interno dei locali aziendali o in forma itinerante, direttamente prodotti (anche manipolati o trasformati) dall’azienda.
Tra queste attività c’è anche la messa a disposizione dei prodotti per il consumo immediato (somministrazione non assistita), senza alcuna distinzione ulteriore.
Non è la prima volta che il MISE interviene sul tema della vendita diretta: già nel 2015, una risoluzione aveva eroso l’applicabilità della disciplina, prima dell’intervento chiarificatore del MIPAAF che aveva ripristinato l’ordine.
In conclusione, si ricorda che una risoluzione è un atto interpretativo che, pur autorevole, non ha carattere vincolante. Tuttavia, onde alimentare un orientamento erroneo e decisamente pericoloso, sarebbe opportuno ritornare ufficialmente sulla questione.