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Il contratto di cessione di quote sottoscritto con firma digitale è nullo se viene dimostrato che la smart card è stata utilizzata abusivamente, cioè senza il consenso del titolare.
Questo è il fondamentale principio espresso dal Tribunale di Roma (sezione specializzata in materia di impresa) con la sentenza n. 1127, depositata il 23 gennaio 2017.
Il contratto di cessione di quote sottoscritto con firma digitale è equiparato ad un atto notarile e può essere regolarmente pubblicato nel registro imprese per mezzo della comunicazione effettuata dagli intermediari abilitati (dottori commercialisti, ragionieri, periti commerciali). Questi soggetti sono altresì obbligati alla registrazione presso l’Agenzia delle Entrate entro 20 giorni dalla stipula.
Nell’espletare queste procedure si possono verificare problematiche legate all’utilizzo della firma digitale da parte del professionista ed è proprio di questo che si è occupato il Tribunale di Roma.
Ai sensi di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, del Codice dell’amministrazione digitale, l’utilizzo della firma digitale “si presume riconducibile al titolare, salvo che questi dia prova contraria”; pertanto, chi intende effettuare il disconoscimento della sottoscrizione deve provare di non avere apposto la propria firma digitale dimostrando un utilizzo abusivo.
Nel caso in esame, il proprietario della smart-card è riuscito a provare l’utilizzo abusivo del dispositivo, dimostrando che nel giorno e nell’ora in cui l’atto di cessione di quote risultava firmato digitalmente (l’atto è dotato di “marcatura temporale”), si trovava in un luogo incompatibile con quello in cui il contratto risultava firmato digitalmente.
Il Tribunale di Roma ha ritenuto queste circostanze sufficienti a dimostrare che la firma digitale era stata apposta in maniera illegittima. Ciò ha determinato la nullità del contratto e delle delibere assembleari in cui aveva espresso il proprio voto il socio subentrato nella titolarità delle quote cedute.
La Sentenza in esame è di particolare importanza, poiché evidenzia in maniera tangibile quali siano i possibili effetti di un utilizzo non corretto di uno strumento che, a differenza della firma olografa, non può essere sottoposto a perizia calligrafica. Ne consegue che ai fini del disconoscimento, potrebbe essere sufficiente dimostrare che la smart card è stata utilizzata dall’intermediario abilitato senza la presenza della parte.