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Il Ministero dello Sviluppo Economico, con la risoluzione n. 16970 dell’8 maggio 2017, è tornato ad esprimersi in materia di vendita diretta di prodotti agricoli, ribadendo alcuni concetti sostenuti già da tempo dagli esperti di Consulenzaagricola.it.
Il caso su cui si è pronunciato il MISE è relativo ad un quesito presentato da un Comune, il quale chiedeva se potesse essere considerata legittima l’attività di un piccolo agricoltore che svolgeva attività di vendita su area pubblica di prodotti acquistati prevalentemente da terzi.
La Direzione Generale del MISE ha fornito parere negativo a tale richiesta, richiamando la previsione di cui all’art. 4, comma 1 del D. Lgs. 228/2001, la quale prevede che “gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.
Sulla base di tale previsione, quindi, gli imprenditori agricoli non devono osservare le disposizioni del D. Lgs. 114/1998 per vendere i prodotti di terzi, purché essi non siano prevalenti rispetto a quelli derivanti dall’attività agricola (coltivazione del fondo o allevamento) principale. Chiaramente, sono qualificabili come prodotti propri quelli “ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell'impresa”.
Per usufruire di tali agevolazioni, poi, è necessario anche non superare i limiti previsti dall’art. 4, comma 8 del D. Lgs. 228/2001, il quale prevede che “qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998”.
Partendo da tali presupposti, quindi, l’imprenditore agricolo che svolge attività di vendita di prodotti prevalentemente di terzi fuoriesce dalla disciplina della legge di orientamento e diventa a tutti gli effetti un commerciante al dettaglio.
A margine del caso, poi, il Ministero fornisce un’ulteriore indicazione relativa all’organizzazione dei prodotti e alla loro suddivisione nel luogo di vendita.
Richiamando la precedente risoluzione n. 343306 del 2 novembre 2016, il MISE ha precisato che non esistono obblighi di legge che impongano agli imprenditori di adottare modalità di esposizione o di etichettatura che consentano all’acquirente di distinguere tra prodotti propri e prodotti di terzi.
Tuttavia, sostiene il Ministero, sono da incoraggiare tutte quelle misure volte a consentire all’acquirente di distinguere tra i prodotti dell’agricoltore e i prodotti acquistati da terzi, in nome della trasparenza e della necessità di instaurare un rapporto fiduciario tra acquirente e venditore.
Come sostenuto da tempo da parte degli esperti di Consulenzaagricola.it, quindi, si ritiene opportuno e consigliabile organizzare il luogo di vendita suddividendo le due tipologie di prodotti in maniera chiara, onde evitare errate valutazioni ed eventuali contestazioni. Senza considerare, poi, che ciò potrebbe essere sfruttato per cogliere interessanti opportunità in termini di marketing e di proposta commerciale.