Il tema della riqualificazione delle cessioni di terreni agricoli in cessioni di aree edificabili è un argomento molto caldo, su cui la giurisprudenza si sta esprimendo con frequenza, adottando posizioni non sempre omogenee.
Una delle ultime pronunce in materia è stata prodotta dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 10113/2017, si è occupata del caso della vendita di un complesso immobiliare composto da un’abitazione, alcuni fabbricati rurali annessi e una corte pertinenziale posti su un terreno agricolo.
Tale cessione di terreni agricoli è stata poi riqualificata da un successivo avviso di liquidazione in una cessione di aree edificabili, con la conseguente pretesa delle maggiori imposte non versate a causa della diversa aliquota applicabile ai fini dell’imposta di registro (7% per i rurali, 8% per i terreni fabbricabili).
Sulla questione relativa al caso di specie, la Cassazione si allinea al suo precedentemente orientamento, affermando che l’interpretazione e la riqualificazione dell’atto registrato ex art. 20 del DPR n. 131/1986 può avvenire anche in base ad elementi interpretativi esterni all’atto stesso, come anche semplici comportamenti delle parti.
Questo non contrasta con la natura di imposta d’atto dell’imposta di registro, in quanto l’obiettivo è quello di far emergere i reali effetti giuridici del contratto registrato, facendo prevalere eventualmente la sostanza sulla forma.
Nel caso trattato dai Giudici di legittimità, oggetto della vendita era un fabbricato vetusto e commercialmente poco appetibile, che era stato demolito pochi giorni dopo l’acquisto. L’istanza al Comune per la demolizione e la ricostruzione era stata presentata soli tre giorni dopo la stipula del contratto e, già in precedenza, il Comune aveva fornito due pareri favorevoli alla fattibilità degli interventi poi eseguiti.
Sulla scorta di tali argomenti, quindi, la Cassazione ha confermato l’avviso di accertamento, ritenendo corretta la riqualificazione dell’operazione e dovute le maggiori imposte.
Come più volte sostenuto, riteniamo tale impostazione errata, in quanto non è corretto valutare il contenuto di un contratto ai fini dell’imposta di registro sulla base di eventi futuri incerti, anche se probabili, all’atto della stipula dello stesso.
Nella sentenza in commento, poi, i giudici di legittimità esprimono un ulteriore ed interessante principio finalizzato a giustificare il fatto che sulla possibilità di riqualificare il terreno agricolo come area edificabile la Suprema Corte ha assunto orientamenti diametralmente opposti ai fini del registro e delle imposte dirette, in quest’ultimo caso è stata negata la legittimità della riqualificazione (Cassazione 15629/2014 e 4150/2014).
Secondo i magistrati, infatti, le due imposte non sono tra loro collegate: “una cosa è interpretare l'atto secondo la sua intrinseca natura ed i suoi effetti giuridici, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, in vista della sua esatta collocazione tra i gruppi tariffari previsti ai fini dell'imposta di registro? ed altra è affermare che l'acquisto di area già edificata non dà luogo a plusvalenza tassabile (in capo al venditore) ai fini dell'imposizione sul reddito”.
Con la sentenza in esame la Cassazione giustifica e legittima la coesistenza di questi due orientamenti.
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