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La stipula di un contratto di compartecipazione agraria non è un evento idoneo a far decadere l’imprenditore agricolo dalle agevolazioni PPC godute all’atto dell’acquisto del terreno agricolo oggetto di cessione. È necessario però il rispetto di alcuni requisiti.
Lo ha deciso la CTR Emilia Romagna, con la sent. n. 1152/2016.
Il caso riguardava una società agricola che nel 2009 aveva acquistato un terreno agricolo usufruendo delle agevolazioni fiscali previste per l’accorpamento della piccola proprietà contadina, attestando poi la propria qualifica professionale come IAP.
Ad aprile 2010, la società stipulava un contratto di compartecipazione stagionale per la coltivazione di pomodoro da industria con uno dei soci il quale, in quanto socio di un OP, era in grado di approntare la prima coltivazione del terreno, attività a cui la società non era ancora in grado di fare fronte dal punto di vista organizzativo.
Tale circostanza, però, veniva contestata dall’Agenzia delle Entrate, la quale emetteva avviso di liquidazione nei confronti della società, la quale aveva, secondo l’Ufficio, cessato la coltivazione diretta del terreno, configurando così la causa di decadenza dalle agevolazioni prevista dall’art. 7 della L. 604/1954.
La CTP di Piacenza, in primo grado, accoglieva le ragioni della società ricorrente e lo stesso ha fatto, in appello, la CTR emiliana.
La commissione tributaria regionale, nella sua argomentazione, parte dall’analisi del richiamato art. 7 della L. 604/1954, il quale stabilisce che le agevolazioni per l’accorpamento della piccola proprietà contadina decadono se “l'acquirente, il permutante o l'enfiteuta il quale, prima che siano trascorsi cinque anni dagli acquisti fatti a norma della presente legge, aliena volontariamente il fondo o i diritti parziali su di esso acquistati, ovvero cessa dal coltivarlo direttamente”.
Nel caso di specie, la società agricola proprietaria dei terreni aveva stipulato un contratto di compartecipazione agraria con un soggetto terzo, il quale era peraltro socio della società stessa.
In concreto, rileva la commissione, il contratto di compartecipazione è un rapporto in forza del quale il ruolo di imprenditore agricolo viene ripartito tra il proprietario e un soggetto terzo a cui viene affidata la cura di una fase produttiva dietro il corrispettivo di una quota di prodotto ottenuto.
Per le sue caratteristiche, il contratto di compartecipazione stipulato tra socio e società risulta quindi caratterizzato da una comunanza di rischi tra le parti, diversamente da quanto sarebbe accaduto all’interno di un contratto di affitto. Tale partecipazione al rischio era confermata dal riparto dei ricavi: la società agricola, infatti, aveva diritto al 20% dei ricavi lordi derivanti dalla commercializzazione dei pomodori prodotti.
Peraltro, la concessione in compartecipazione dei terreni al socio, secondo la ricostruzione operata in sede di contenzioso, aveva la mera finalità di non lasciare incolti i terreni al primo anno di possesso degli stessi da parte della società.
Decisivo, inoltre, era il rilievo per cui la società proprietaria non aveva meramente ceduto i terreni ad un terzo, ma aveva contribuito alla produzione stessa, tramite attività di miglioramento del fondo come, ad esempio, l’aratura.
Il diretto coinvolgimento della società proprietaria, la comunanza del rischio e la coltivazione svolta da parte del socio, quindi, sono stati ritenuti indicatori sufficienti per affermare che la coltivazione associata si fosse esaurita all’interno della compagine sociale.
Pertanto, non essendo mai cessata la diretta coltivazione del fondo da parte della società agricola, non potevano ritenersi decadute nemmeno le agevolazioni PPC godute all’atto di acquisto.