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Nel 2017, alcuni studi hanno provato che circa il 60% delle PMI italiane possiedono un sito internet, ma nel settore agricolo tale percentuale è ancora significativamente più bassa. Nel periodo storico in cui viviamo, avere una vetrina sul web sembra ormai imprescindibile, ma ciò può avere anche indesiderate conseguenze.
Sempre più spesso, infatti, l’Agenzia delle Entrate controlla le attività svolte dalle imprese monitorando il sito internet, le pagine social o gli altri strumenti comunicativi utilizzati dall’azienda. Agli esiti di tali verifiche, nel caso in cui vengano riscontrate anomalie, l’Agenzia procede poi ad accertamenti fiscali.
Lo hanno imparato a loro spese due società che recentemente sono state oggetto di due diverse pronunce da parte dei giudici di merito, i quali hanno fatto proprie le contestazioni mosse dal Fisco alle contribuenti.
L’ultimo caso è stato quello analizzato dalla CTR Sardegna, con la sentenza n. 101/2017, la quale ha condannato una società di navigazione che svolgeva attività ulteriori rispetto a quelle ordinarie dichiarate, attività di cui dava però conto sui propri canali ufficiali e sul proprio sito.
Non meno centrata è la pronuncia della CTP di Trento che, con la sentenza n. 236/2016, ha confermato la legittimità delle contestazioni mosse dall’Agenzia contro un’associazione di produttori agricoli, la quale aveva proceduto alla detrazione IVA pur non avendone diritto.
Come confermato dai giudici, infatti, tale associazione non svolgeva attività commerciale, ma soltanto istituzionale. Ciò era stato facilmente dimostrato da parte dell’Ufficio sulla base delle risultanze contenute all’interno del sito internet. Pertanto, l’associazione non aveva diritto ad alcuna detrazione.
Questi sono solo due casi, discussi in sede di contenzioso. Tuttavia, l’orientamento dell’Agenzia verso lo svolgimento di una sempre maggiore attività di controllo sulle propagazioni web delle aziende è ormai chiara e conclamata.
È quindi necessario prestare molta attenzione a ciò che viene pubblicato e diffuso attraverso i siti web e i canali social dell’impresa. Se oggetto di contestazione, infatti, tali dichiarazioni sono fornite direttamente dal contribuente e diventa davvero difficile, per l’azienda, dimostrare il contrario o confutarne il contenuto, anche quando esso non sia perfettamente rispondente al vero.
Questo può diventare ancora più pericoloso quando si promuovono attività marginali, le quali possono essere considerate erroneamente come attività stabili e non meramente sporadiche o, complessivamente, irrilevanti.
Concludendo, è necessario ribadire che, nell’era del web 2.0, la presenza su internet è foriera di importanti opportunità a cui nessuna impresa può rinunciare a cuor leggero. Al tempo stesso, però, è necessario essere consapevoli dei rischi e delle criticità che essa comporta, per cercare di prevenire contestazioni e problemi sgraditi.