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Il DPR 601/1973, all’art. 9, prevede alcune agevolazioni fiscali per i terreni agricoli montani. Così sono definiti tutti quei fondi rustici situati (anche parzialmente) oltre i 700 metri di altitudine, nonché quelli compresi negli elenchi compilati dalla commissione censuaria centrale e quelli inseriti nei comprensori di bonifica montani.
Per tali terreni, il richiamato art. 9 attribuisce alcuni sconti d’imposta: le imposte locali sui redditi sono ridotte della metà sui redditi agrari e dominicali; inoltre, il comma 2 prevede che “i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastali”.
In relazione all’applicabilità di tale norma è stata recentemente chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 3822 del 16 febbraio 2018, ha deciso su un avviso di liquidazione emanato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un soggetto coltivatore diretto.
L’agricoltore aveva acquistato un fondo rustico montano applicando le agevolazioni di cui sopra, ma l’Agenzia disconosceva tale operazione, revocando i benefici fiscali goduti.
Secondo l’Ufficio, infatti, l’operazione non poteva rientrare nella fattispecie di cui all’art. 9, comma 2 del DPR 601/1973 in quanto l’acquirente, prima dell’acquisto, non era proprietario di alcun terreno, ma era soltanto conduttore di un fondo vicino in forza di un contratto di affitto (disciplinato dalla L. 203/1982).
Il contribuente sosteneva che la contestazione era priva di fondamento, in quanto, per l’accesso alle agevolazioni, la disciplina richiedeva la sola titolarità della qualifica di coltivatore diretto (incontestata nel caso in esame) e non l’obbligo di essere proprietari di altro fondo.
Dopo due pronunce contrastanti nel merito (a favore del contribuente la CTP, pro Agenzia in CTR), è servito l’intervento della Cassazione per risolvere la controversia, che ha deciso in favore dell’Ufficio.
I giudici di legittimità, infatti, hanno precisato che la finalità dell’art. 9 DPR 601/1973 è quella di favorire l’accorpamento di più terreni al fine di migliorarne la redditività in un’ottica di salvaguardia dell’economia agro-silvo-pastorale delle zone montane.
Per poter provare a raggiungere tale obiettivo, però, è necessario che l’acquirente sia già proprietario di altri terreni, in quanto “le migliorie che permettono un miglioramento della redditività delle zone montane in tanto sono incoraggiate in quanto il potenziale investitore disponga di una prospettiva a lungo termine della disponibilità dei terreni, che un titolo di proprietà può assicurare ma non anche un contratto di affitto di incerta durata”.
Ma non solo: secondo la Cassazione, la necessaria precedente proprietà di un terreno ha anche una finalità antiabusiva. Secondo la Corte, infatti, adottando la tesi del contribuente, per godere dell’agevolazione sarebbe sufficiente prendere in affitto un terreno limitrofo a quello da acquistare anche per un brevissimo periodo di tempo, poco prima della compravendita.
Pertanto, concludono gli Ermellini, non è possibile interpretare estensivamente la norma agevolativa oggetto di controversia: senza essere precedentemente proprietari di un terreno, non si può accedere alle agevolazioni di cui all’art. 9 del DPR 601/1973.