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Sempre più spesso le attività esercitate dai florovivaisti rientrano nel mirino degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate e, come noto tra gli esperti in agricoltura, vi sono non poche criticità legate alle verifiche svolte in questo settore.
Uno dei principali problemi riscontrato in fase di accertamento è quello legato al giusto inquadramento fiscale dei ricavi derivanti dalla commercializzazione di vegetali acquistati da terzi e poi rivenduti.
Come noto, infatti, i florovivaisti, per ovviare al problema della competitività del settore e per soddisfare la richiesta degli acquirenti, sempre più spesso si vedono costretti ad acquistare da terzi le piante che non riescono a produrre internamente, sia per ampliare la gamma dei prodotti venduti sia per migliorare la qualità della merce offerta sul mercato.
Proprio a tal proposito, da alcune ricerche di settore, risulta che negli ultimi anni si è registrato un aumento della concorrenza dei Paesi terzi: la tendenza attuale vede una minore richiesta di taglie grandi a favore delle piante più piccole, a prezzi inferiori, tipiche della produzione dei paesi esteri. La stessa tendenza più favorevole alle piccole taglie si registra anche per le piante da esterno da utilizzare sia per il verde privato che per quello pubblico.
Vista la particolare problematica, riteniamo opportuno fare un breve riepilogo di quelle che sono le peculiarità legate all’attività florovivaistica, calandosi poi nelle relative disposizioni fiscali che la regolano. In particolare, cercheremo di analizzare i requisiti richiesti dal legislatore ai fini di poter inquadrare la commercializzazione di piante acquistate da terzi nel reddito agrario, fornendo quindi alcune linee guida che possano favorire il contribuente nella legittima, e non semplice, difesa dalle presunzioni della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate.
Al fine di favorire il sostegno e lo sviluppo economico e sociale dell’agricoltura, con il D. Lgs. 228 del 18 maggio 2001, è stato novellato il vecchio art. 2135 del Codice Civile, stabilendo nuove disposizioni nel settore agricolo.
Il florovivaismo viene ricompreso nell’area dell’impresa agricola di cui all’art. 2135 del c.c. in quanto attività consistente nella coltivazione di piante e fiori. Tale norma dispone che: “Per coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.”.
Il legislatore, con la nuova formulazione della disciplina civilistica delle attività agricole, ha apportato una duplice innovazione:
Da un lato la coltivazione del fondo, che ora va intesa come coltivazione delle piante (vegetali), si sostanzia nella cura e nello sviluppo del ciclo biologico del vegetale e può riguardare sia il ciclo biologico nella sua interezza che una parte essenziale dello stesso;
D’altro canto, la norma, utilizzando la locuzione “attività […] che utilizzano o possono utilizzare il fondo”, ha introdotto una concezione di coltivazione più moderna e disancorata dal fattore terra, ritenuto fino a pochi decenni fa elemento indispensabile, dando la possibilità all’imprenditore agricolo di poter svolgere l’attività di florovivaismo anche all’interno di strutture fisse o mobili.
In merito al primo elemento innovativo pare evidente che, per poter ricomprendere l’attività di florovivaismo tra le attività agricole, è necessaria la cura e lo sviluppo del ciclo biologico del vegetale intesa nel senso che il produttore deve imprimere una crescita qualitativa e quantitativa del prodotto.
Per ciò che concerne, invece, la possibilità di effettuare l’attività di coltivazione anche fuori dal terreno, ricordiamo che l’art. 32, comma 2 lett b) del Tuir ricomprende nel reddito agrario “le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie”.
Basti pensare, per esempio, che sono considerate attività agricole tutte quelle tecniche di coltivazione avanzata quali, ad esempio, la coltivazione in vaso, le colture in serra, la funghicoltura o le colture idroponiche.
Dal combinato disposto degli articoli 2135 del c.c. e l’art. 32 del Tuir, pare evidente che entrambe le innovazioni introdotte dal legislatore sono in stretto rapporto di connessione tra di loro. Si evidenzia, infatti, che la coltivazione svolta tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili è produttiva di reddito agrario solo se tali strutture permettono la cura e lo sviluppo del ciclo biologico della pianta o di una fase essenziale dello stesso.
Ai fini fiscali, ricordiamo che la determinazione del reddito delle colture fuori suolo è assoggettata a criteri specifici già analizzati nell’approfondimento Colture idroponiche: la tassazione delle nuove frontiere dell’agricoltura specializzata.
Il legislatore, che ha voluto offrire la possibilità all’imprenditore agricolo di non limitarsi ad esercitare le attività di coltivazione, selvicoltura e allevamento, ha introdotto tra le attività agricole anche le cosiddette attività connesse, considerate come attività strumentali e complementari svolte parallelamente e funzionalmente all’attività agricola principale di produzione di prodotti agricoli.
L’articolo 2135 del c.c. ha ricompreso nell’alveo delle attività agricole tutte quelle attività “dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali”.
Tra tutte queste attività, considerate agricole per connessione, merita particolare attenzione la commercializzazione di prodotti di terzi. Infatti, tale attività ha da sempre rappresentato un problema che ha richiesto più volte l’intervento dei giudici tributari.
L’Agenzia delle Entrate, con la circolare 44/E/2002, ha espresso un’importante principio, successivamente ripreso anche dalla circolare 44/E/2004 e da altri documenti di prassi, secondo cui la commercializzazione di prodotti acquistati da terzi può rientrare tra le attività connesse, e pertanto essere assoggettata a tassazione su base catastale di cui all’art. 32 del Tuir, solo se tale attività comprende la trasformazione o la manipolazione dei prodotti acquistati e se vengono rispettati i seguenti requisiti:
Mentre i primi due requisiti appaiono di facile interpretazione, il rispetto del terzo requisito, ovvero quello della prevalenza, merita un breve approfondimento.
Per verificare la sussistenza della condizione della prevalenza, resta valido il criterio enunciato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 44/E del 2002 che postula un confronto quantitativo fra i prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale con i prodotti acquistati da terzi. Nell’ipotesi in cui l’imprenditore effettui acquisti di prodotti presso terzi, al fine di un miglioramento della gamma dei beni offerti, non potendo confrontarsi quantità relative a beni di specie diversa, la condizione della prevalenza andrà verificata confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale e il costo dei prodotti acquistati da terzi.
Il rispetto del requisito della prevalenza, oltre che dei requisiti sopra elencati, fa sì che anche i redditi derivanti dalla vendita di prodotti agricoli acquistati da terzi possano essere ricondotti nell’ambito delle attività agricole connesse ai fini fiscali, e quindi soggetti a tassazione su base catastale, ma ciò è possibile solo nell’ipotesi in cui detti prodotti siano oggetto di trasformazione o manipolazione.
Come già detto al punto precedente, le attività di manipolazione e trasformazione che intercorrono tra il momento in cui viene acquistata una pianta da terzi ed il momento in cui questa viene rivenduta al cliente, sono attività fondamentali per poter inquadrare i ricavi delle vendite tra il reddito agrario.
Per il settore del florovivaismo, disposizioni specifiche sul concetto di manipolazione e trasformazione sono state fornite dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione 11/E/2018, riprendendo i concetti già espressi nel protocollo Ministeriale 24856/2015.
Con tale documento l’Amministrazione finanziaria ha ricompreso nel concetto di “manipolazione” applicabile alle piante le seguenti attività:
Verificare l’effettivo svolgimento di tali attività è la difficoltà maggiore riscontrata dalla Gdf e dall’Agenzia in fase di accertamento. Come dettato dall’art. 2697[1] del c.c., è l’Amministrazione finanziaria ad avere l’onere della prova e dover, quindi, dimostrare che il contribuente ha commercializzato le piante senza aver manipolato il vegetale transitato in vivaio prima della rivendita.
La difficoltà riscontrata dagli accertatori è proprio quella legata a questo tipo di presunzioni. Infatti, come di facile immaginazione, i verificatori non hanno molti elementi per poter dimostrare, a posteriori, l’assenza di lavorazioni sulle piante acquistate.
Per cercare di capire come difendersi dalle presunzioni della Gdf e dell’Agenzia è necessario analizzare “La metodologia di controllo dei vivai” (Circolare 5/8/1999 n. 175/E). Così come chiarito da tale documento di prassi, l’obiettivo principale dell’Amministrazione è quello di risalire al volume di affari attraverso una serie di dati oggettivi reperibili presso il contribuente o presso terzi.
I metodi di verifica possono essere riassunti nelle seguenti fasi:
Nei casi in cui l’attività soggetta a controllo non abbia i requisiti per poter godere dei benefici della tassazione agevolata ai sensi dell’art. 32 del Tuir, occorre ricostruire il volume di affari andando a definire il confine tra il volume d’affari relativo all’attività agricola e quella non agricola.
Per ricostruire il volume d’affari dei prodotti acquistati da terzi si dovrà distinguere, come già premesso, tra le piante oggetto di attività di manipolazione che rientrano tra le attività connesse (nel rispetto del criterio della prevalenza) ed i ricavi che derivano dall’attività commerciale.
Per operare tale distinzione, uno degli espedienti operati dai verificatori è quello di valutare il tempo di permanenza in azienda della pianta, confrontando la data di acquisto con quella di vendita. Se il tempo risulta estremamente breve si presume che non siano state svolte attività di manipolazione ma che il vegetale sia stato rivenduto tal quale.
La discriminante del fattore “tempo” è stata recentemente individuata anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia, con la sentenza 72/2018, che, oltre a confermare quanto già sopra esposto, ha aggiunto alcune considerazioni rilevanti in merito all’onere della prova.
I giudici si sono espressi affermando che “nel caso in cui tra l’acquisto e la rivendita dei prodotti intercorra un lasso di tempo brevissimo si debba presumere la commercializzazione dei prodotti stessi e con ciò l’Ufficio abbia assolto il proprio onere probatorio, spettando in tal caso al contribuente di fornire la prova contraria, ossia di avere effettivamente svolto attività di manipolazione o trasformazione del prodotto prima della rivendita, prova che può esser data anche per presunzioni, purché connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.”
Il Collegio pistoiese riconduce alla brevissima permanenza in azienda delle piante un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che dovrà quindi dimostrare di avere effettivamente svolto attività di manipolazione/trasformazione sulle piantine acquistate.
Tale dimostrazione assume tutti i caratteri di una prova “diabolica”, poiché risulta pressoché impossibile provare, magari a distanza di anni, di aver effettuato questo tipo di operazioni.
A questo punto è necessario capire quali sono gli escamotage che i vivaisti possono utilizzare per difendersi dalle presunzioni della Gdf o dell’Amministrazione Finanziaria.
Per i vivaisti che effettuano attività connesse attraverso l’acquisto, la manipolazione e la commercializzazione di materiale vegetale, si consiglia di documentare accuratamente tale attività in tutte le sue fasi, soprattutto se la stessa avviene in un lasso di tempo molto breve.
Come più volte sostenuto dagli esperti di Consulenzaagricola.it, il consiglio dato ai florovivaisti è quello di utilizzare qualsiasi forma di documentazione al fine di provare l’effettivo svolgimento delle attività connesse, ricordando comunque che il legislatore ha introdotto molte possibilità nei confronti degli operanti in questo settore. Tali opportunità devono essere utilizzate dall’imprenditore agricolo in modo consapevole, senza abusarne, onde evitare contestazioni o sanzioni.
Per questo motivo consigliamo di svolgere l’attività di commercializzazione di prodotti di terzi nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, creando i presupposti per poter usufruire delle norme di favore, senza porsi in situazioni ambigue o facilmente discutibili come l’acquisto e la rivendita di vegetali nella stessa giornata.
[1] Art. 2697 c.c.: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.”