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Nel mercato di un prodotto pregiato come il tartufo, non mancano profili di incertezza a livello fiscale, soprattutto sull’IVA. La disciplina è stata rivista con la Legge Europea (L. 122/2016), che ha modificato la Tabella A, parte III, allegata al decreto IVA, senza però risolvere i dubbi degli operatori.
Nella giornata di ieri, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 59/2018, ha provato a fare chiarezza sul tema.
In forza dell’introduzione del n. 20-bis alla Tabella A (parte III) allegata al DPR 633/1972, si applica l’aliquota IVA ridotta del 10% per le cessioni di tartufi freschi, refrigerati o presentati immersi in acqua salata, solforata o addizionata di altre sostanze atte ad assicurarne temporaneamente la conservazione, ma non specialmente preparati per il consumo immediato”.
Il caso prospettato all’Agenzia
Una società, operante nel campo della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi, ha presentato all’Agenzia un quesito, al fine di chiedere quale fosse la corretta aliquota IVA da applicare alle cessioni di tartufi:
Con la risoluzione 59/E, l’Agenzia si è pronunciata sulla questione, anche sulla scorta del parere tecnico rilasciato dall’Agenzia delle Dogane.
A differenza del prodotto fresco, per quanto riguarda i prodotti surgelati/congelati, l’Agenzia ha affermato che l’aliquota IVA da applicare è sempre quella ordinaria (22%), in quanto il richiamato n. 20-bis fa riferimento a modalità di conservazione diverse dal congelamento/surgelamento.
Al contrario, i tartufi conservati secondo le modalità richiamate dall’istante (stabilizzazione termica, immersione in acqua salata o olio) rientrano nel novero di quei prodotti soggetti all’aliquota agevolata del 10%.
Secondo l’Agenzia, infatti, il tartufo sterilizzato è riconducibile alla voce doganale 07.09 (“altri ortaggi freschi o refrigerati”), mentre la conservazione in olio di oliva permette di inquadrare il prodotto all’interno della voce doganale 20.03 (“funghi e tartufi, preparati o conservati ma non nell’aceto o acido acetico”).