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Produrre per vendere, e possibilmente, conoscere in anticipo le condizioni di vendita, rappresenta da sempre un dilemma al quale ogni impresa cerca di trovare la soluzione.
A differenza di altre attività di produzione di beni, il settore dell’agricoltura necessita di tempi e di programmazioni che mal si coniugano con quelli del mercato.
Il rischio di coltivare dei frutti o allevare degli animali oggi richiesti dal mercato, ma non più ricercati una volta “venuti a maturazione”, è un’incognita sempre presente nelle valutazioni degli imprenditori agricoli. Tale rischio si è accentuato con l’avvento del mercato globale, cosicché, oggi rimane molto difficile per un imprenditore tenerlo sotto controllo.
A partire dagli anni ’80, la Comunità europea ed il legislatore nazionale hanno cercato di dare una regolamentazione al mercato, cercando di agevolare degli accordi di settore (filiere), al fine di programmare i quantitativi di produzione, i prezzi e le condizioni di pagamento.
Con il D.Lgs 102 del 2005 si è dato un grande impulso al sistema degli accordi di filiera che rappresentano degli importati strumenti di regolamentazione del mercato agroalimentare.
In verità in Italia, soprattutto nel settore della produzione di sementi, erano già in uso dei contratti di coltivazione che, da un lato impegnavano il produttore al rispetto di determinati disciplinari di coltivazione al fine di garantire la qualità del prodotto, dall’altro garantivano condizioni di vendita predefinite.
Come detto, il nuovo impulso ai contratti di coltivazione è stato introdotto con gli accordi di filiera, in cui i rappresentanti delle organizzazioni di produttori (OP) e le imprese di trasformazione, distribuzione e commercializzazione definiscono degli obiettivi di produzione compatibili con le richieste del mercato.
La stipula di un contratto quadro obbliga gli acquirenti a rifornirsi del prodotto tramite un contratto di coltivazione, allevamento e fornitura che rispetti i presupposti dell’accordo generale, trovando applicazione anche nei confronti degli imprenditori agricoli non aderenti alle organizzazioni stipulanti.
Definire dei contratti quadro di filiera, quindi, a caduta, i singoli contratti di coltivazione, permette l’accesso a contributi destinati ai trasformatori, che vengono erogati se l’acquisizione del prodotto da trasformare avviene tramite queste tipologie di contratto. Pertanto, indirettamente, i benefici economici dovrebbero pervenire anche al produttore.
Il contratto di coltivazione prevede un accordo preventivo tra il produttore agricolo ed il primo acquirente nel quale le parti determinano l’oggetto delle produzioni. L’accordo può essere dettagliato, precisando le modalità di coltivazione, i trattamenti ammessi o non ammessi, le pratiche agronomiche e tecniche da seguire ed ogni altra specifica che le parti abbiamo interesse a precisare. A fronte di tali impegni, il produttore agricolo avrà la certezza che, se le coltivazioni avverranno in base agli accordi presi, il prodotto coltivato sarà acquistato dalla controparte, potendo preventivamente definirne il prezzo in base alla qualità del prodotto ottenuto.
Un efficace contratto di coltivazione deve definire almeno i seguenti aspetti:
Le parti possono stabilire nel contratto un prezzo fisso, oppure, che il prezzo sia da definire in funzione della valutazione qualitativa del prodotto ottenuto (ad esempio percentuale di germinabilità, la presenza di impurità, tenore zuccherino, ecc.). Pertanto, in questo caso, la fatturazione può essere rinviata alla verifica di tali caratteristiche e, conseguentemente, alla determinazione del prezzo (DM 15/11/1975). Il contratto non prevede la necessità di registrazione ma è bene averne copia in azienda, in quanto, in caso di verifiche, potrebbe essere utile a giustificare la presenza di tecnici ed addetti dell’acquirente, intenti a monitorare le fasi vegetative o il rispetto del disciplinare di produzione.
Nella sezione ebook è possibile trovare la guida al contratto di coltivazione e le relative formule contrattuali.