L’INPS chiarisce la corretta iscrizione delle aziende non agricole alla contribuzione agricola unificata con la Circolare n. 56/2020, illustrando gli effetti sui rapporti di lavoro e recupero delle prestazioni erogate ai lavoratori, nel caso di riclassificazione delle attività lavorative.
Stando ai chiarimenti dell’Istituto, il lavoratore denunciato come agricolo, che abbia svolto attività di lavoro non rientranti tra quelle identificabili come agricole, ai sensi dell’art. 6 della L. 92/1979, sarà tenuto a restituire eventuali prestazioni previdenziali a lui riconosciute (disoccupazione, assegni familiari, ecc.).
L’articolo 6 sopracitato prevede che, agli effetti delle norme di previdenza ed assistenza sociale, comprese quelle relative all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali, si considerano lavoratori agricoli dipendenti gli operai assunti a tempo indeterminato o determinato anche da imprese:
- non agricole singole e associate, se addette ad attività di raccolta di prodotti agricoli;
- che effettuano lavori e servizi di sistemazione e manutenzione agraria e forestale, di imboschimento, di creazione, sistemazione e manutenzione a verde.
Sostanzialmente, ai fini dell’inquadramento contributivo, ciò che rileva è l’attività svolta in concreto dal lavoratore, a prescindere dalla qualifica di assunzione o dall’inquadramento del datore di lavoro.
Per identificare le attività di cui all’art. 6 della Legge 92/1979 è opportuno, quindi, fare riferimento sia alle attività tipiche di cui all’art. 2135 c.c. che, più in generale, alle attività relative al ciclo biologico e al correlato rischio della produzione.
Infatti, così come precisa l’INPS con la Circolare n. 56, è opportuno tenere conto anche dell’evoluzione normativa che ha segnato il settore agricolo e, proprio per questo, bisogna far rientrare nel concetto di attività agricole tutte quelle relative al ciclo biologico e al rischio di produzione, anche se le stesse non assumono le caratteristiche proprie dell’attività dell’imprenditore agricolo ex art. 2135 c.c., comprendendo anche le attività indispensabili, ordinarie e straordinarie, finalizzate a mantenere in stato ottimale di salute le piantagioni coltivate, il suolo che le ospita, le colture e gli allevamenti praticati.
Quindi, a titolo esemplificativo, aratura, semina, potatura e taglio arbusti sono considerate attività agricole.
Inoltre, l’INPS ribadisce che resta ferma la necessità di verificare, comunque, che la predisposizione di mezzi, risorse e organizzazione sia connotata da un’effettiva struttura imprenditoriale, tanto da potersi configurare, nel caso concreto, l’ipotesi del c.d. “appalto genuino”.
Conseguenza di tale orientamento è che, nel caso in cui sia stato accertato che il lavoratore dell’impresa riqualificata nel settore non agricolo abbia svolto un’attività lavorativa riconducibile ad attività agricola, tale lavoratore mantiene la sua identificazione previdenziale di operaio agricolo (a tempo determinato e/ a tempo indeterminato) e, pertanto, mantiene il diritto alle prestazioni specifiche del settore agricolo, già corrisposte o ancora da corrispondere.
L’eventuale disconoscimento dell’inquadramento dell’azienda comporta una riclassificazione con effetto retroattivo, che comporta il venir meno della speciale tutela previdenziale ed assistenziale prevista per gli operai agricoli, con il conseguente recupero delle prestazioni previdenziali già erogate agli stessi.
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