Con la Circolare n. 22 del 20 maggio 2020, l’INAIL ha definitivamente chiarito sulla querelle relativa alla responsabilità civile e penale del datore di lavoro per infortunio da contagio SARS-Cov-2, occorso in occasione di lavoro.
La predetta Circolare stabilisce che l’INAIL garantisce a favore del lavoratore l’erogazione delle proprie prestazioni, qualora sia accertata l’origine professionale del contagio da SARS-Cov-2.
Ciò in quanto, pur in presenza di una situazione pandemica eccezionale come quella attuale, l’infezione da SARS-Cov-2, al pari di tutte le infezioni da agenti biologici, è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro, venendo la causa virulenta equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio, pur se i suoi effetti si manifestano dopo un certo lasso temporale.
In questo specifico caso, l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre, non soltanto il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria del lavoratore infortunato, con conseguente astensione dal lavoro, bensì anche il tragitto casa-lavoro.
La ratio si rinviene nel fatto che la copertura assicurativa debba coprire l’impossibilità fisica di presenziare a lavoro oltre che la necessità di osservare le prescrizioni terapeutiche e di profilassi, imposte al lavoratore, che lo costringono ad assentarsi temporaneamente dal lavoro.
Affinché venga erogata tale copertura assicurativa, occorre tuttavia provare che il contagio sia effettivamente avvenuto in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa, potendo all’uopo ricorrere anche alla c.d. presunzione semplice, che ricorre quando il fatto ignoto si presume possa, con ragionevole probabilità, essere desunto dal fatto noto.
Sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, che attengono ad esempio alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa oltre che ai tempi di contrazione e di manifestazione del virus, è pertanto possibile desumere se il contagio sia o meno avvenuto in occasione di lavoro.
Dal momento che la presunzione semplice ammette sempre prova contraria, spetta invece all’INAIL provare che l’infortunio denunciato non sia riconducibile a contagio sul luogo di lavoro.
Ciò premesso, è importante precisare che la contrazione del virus da parte del lavoratore non comporta maggiori oneri a carico dell’impresa, non incidendo sulla misura del premio pagato dal singolo datore di lavoro, né determina una conseguente "automatica" responsabilità civile e penale di quest’ultimo, per la quale è necessario l’accertamento della sussistenza di altri presupposti.
Il piano assicurativo va infatti giuridicamente distinto da quello propriamente giudiziario.
Ai fini della configurazione della responsabilità civile e penale del datore di lavoro, occorre infatti provare la sussistenza del nesso causale e del comportamento quantomeno colposo del datore di lavoro, ossia la sua inosservanza dell’obbligo di diligenza nella predisposizione delle misure atte a prevenire il contagio epidemiologico.
Detto in altri e più chiari termini, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo qualora non si sia attenuto al rispetto delle disposizioni legislative e regionali oltre che delle linee guida di cui al “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro”, siglato dal Governo e dalle parti sociali lo scorso 14 marzo 2020, di cui l’ultima versione è stata rilasciata il 24 aprile 2020.
Del resto, pure la Cassazione, con la recente Sentenza n. 3282/2020, è intervenuta al riguardo, statuendo come il verificarsi di un evento qualificabile come infortunio sul lavoro non sia diretta conseguenza della mancata adozione da parte del datore di lavoro di misure adeguate a prevenire e a mitigare il rischio di contagio, non potendosi pretendere da quest’ultimo l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro a “rischio zero”.
Un emendamento in arrivo per fugare le preoccupazioni di datori di lavoro
Le preoccupazioni dei datori di lavoro per le responsabilità civili e penali a loro eventualmente imputabili nel caso di riconoscimento di infezioni da COVID-19 per i propri dipendenti sono state oggetto di un’ampia discussione politica. Nella legge di conversione del D.L. Liquidità sarà inserita, con un emendamento, una disposizione ad hoc con la quale si stabilisce che “Ai fini della tutela contro il rischio da contagio da SARS-Cov-2, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’art. 2087 del Codice Civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del Decreto Legge 16 maggio 2020 n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Stefania Avoni, avvocato
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