Il lavoro agile, meglio conosciuto come smart working, è divenuto lo strumento principale indicato dal Governo per contenere la diffusione dell'epidemia da COVID-19, che ha improvvisamente colpito il nostro Paese e non solo.
Esso rappresenta una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali, basata dunque su un accordo (spesso per obiettivi) tra dipendente e datore di lavoro, ma soprattutto sulla fiducia reciproca tra le parti.
Nonostante l’emergenza sia ormai in fase di decrescita, si continuerà a parlare di smart working ben oltre il 31 luglio, termine previsto dal Decreto Legge n. 34/2020, che prevede la possibilità di accedere al lavoro agile anche in mancanza dell’accordo individuale redatto secondo le modalità previste dalla vigente normativa. In questa fase emergenziale, l’accesso allo smart working mediante semplice comunicazione, da presentare in via telematica, ha riscontrato nelle aziende e nei professionisti addetti alla gestione del personale numerosi vantaggi di gran lunga superiori agli aspetti negativi.
Maggiore autonomia e libertà del lavoratore, risparmio di denaro per trasporti o forniture, maggiore produttività e un miglioramento nella motivazione dei dipendenti sono solo alcuni degli aspetti positivi che evidenziano l’utilità dello strumento del lavoro agile.
Le indagini condotte dall’ateneo dell’Università Cattolica di Milano, tuttavia, hanno rilevato che il livello di stress è aumentato, soprattutto per coloro che hanno figli con meno di 6 anni. A ciò si aggiunge il fatto che, in alcuni casi, il lavoratore può percepire il lavoro da casa come una violazione della vita privata, oppure, dal punto di vista aziendale, potrebbe verificarsi un minor controllo sulla quantità o qualità del lavoro del dipendente.
In questo contesto di evoluzione del rapporto lavorativo si perdono di vista orario e luogo di lavoro a favore dei risultati raggiunti, che diventano il criterio di riferimento dello scambio contrattuale. Proprio per questo motivo, il datore di lavoro cerca sempre più figure capaci di saper essere prima che di saper fare e quindi in grado di raggiungere obiettivi prefissati in un ambiente incerto e in continua evoluzione.
Ci si sposta, quindi, verso un’ottica orizzontale di collaborazione flessibile, abbandonando i vecchi modelli organizzativi in stile top-down basati su logiche verticali e gerarchiche.
Aumentando la partecipazione attiva dei lavoratori all’interno del contesto aziendale, schermaglie tra lavoratori e datori su orari di lavoro perdono completamente importanza e viene piuttosto richiesto un cambiamento strutturale di contratti di lavoro e di retribuzione. In particolare, si sente l’esigenza di avere pochi grandi contratti nazionali.
In conclusione, nel pieno dell’emergenza COVID-19, abbiamo preso atto di come salute e lavoro siano bisogni fondamentali della persona, perciò risulta naturale cercare nell’ambito lavorativo, che è parte chiave delle nostre vite, occasioni di prevenzione di salute che il datore di lavoro può garantire, tramite controlli periodici o impiegando medici competenti.
Dunque, il legame che si crea tramite il rapporto lavorativo ci porta ad analizzare altri ambiti di negoziazione, funzionali alla soddisfazione sia di dipendenti sia dell’impresa, abbandonando contese su orari e luoghi di lavoro.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro
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