Sentire parlare di CIG (cassa integrazione guadagni) e divieto di licenziamenti nel nostro Paese è ormai una prassi in questo periodo storico, soprattutto perché tali misure sono state la risposta immediata da parte del Governo all’emergenza COVID-19, che ha decretato la chiusura di migliaia di imprese sul territorio nazionale.
Nonostante questi provvedimenti abbiano la finalità di tutelare i lavoratori, il rischio che si corre è quello di immobilizzare il sistema economico italiano, che già di per sé appare in gravi condizioni.
Analizzando i dati inerenti all’occupazione, si può constatare (purtroppo) che, malgrado le ingenti somme messe a disposizione per finanziare la CIG e soprattutto le disposizioni normative che vietano i licenziamenti sino alla data del 17 agosto 2020, sono 400.000 le persone che tra febbraio e aprile hanno perso il loro posto di lavoro.
Ad alimentare l’insofferenza generalizzata relativamente agli ammortizzatori sociali, ci ha pensato la scarsa efficienza delle procedure per la concessione della CIG. Nell’ultimo D.L. si è cercato di mettere una “toppa” ai numerosi balzelli burocratici ai quali le aziende si sono dovute adeguare, ma nonostante ciò molti lavoratori non hanno ancora ricevuto dall’INPS il bonifico della cassa integrazione.
Anche se, a prima vista, tali provvedimenti possono sembrare funzionali al lavoratore e alle aziende, nel lungo periodo rischiano di rappresentare una vera e propria trappola per entrambe le categorie.
Dunque, sono necessarie misure dirette a rendere più snelle le procedure di accesso agli ammortizzatori sociali, oppure prevedere forme incentivanti che garantiscano l’assunzione di giovani e, meglio ancora, facendo arrivare nelle tasche dei lavoratori più soldi attraverso la riduzione del cuneo fiscale.
Tutto ciò non accade e al momento non vi sono in previsione politiche attive per il lavoro che funzionino. La situazione venutasi a creare rischia di diventare una zavorra incolmabile in termini di spesa pubblica (un mese di CIG costa al paese 4-5 miliardi di euro).
A questo si aggiunge la mancanza di un piano di formazione generale o specifica (a seconda della mansione di riferimento) per i lavoratori che si trovano in cassa integrazione e ricollocazione degli stessi; segnali questi di una scarsa propensione all’innovazione.
Il programma di interventi da attuare è sicuramente vasto e non privo di dibattiti e/o discussioni, ma di certo vi è la necessità di adottare un sistema di politiche attive che riportino le aziende e il lavoro al centro dell’attenzione perché, in caso contrario, si rischia di pietrificare l’economia, ottenendo soltanto un contestuale spreco di risorse.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro
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