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L’emergenza COVID-19 ha determinato un’ampia diffusione della modalità di lavoro agile, disciplinata dalla L. 81/2017, più conosciuta come smart working.
Questo lungo periodo di assenza dal proprio ufficio e il trasferimento di quest’ultimo tra le mura domestiche, ha determinato inevitabilmente una serie di riflessioni sui diversi e nuovi comportamenti che i lavoratori hanno adottato causa pandemia.
Numerose sono le analisi effettuate sul così detto diritto alla disconnessione oppure, argomento di grande attualità, i rimborsi delle spese sostenute dal lavoratore per poter continuare a svolgere la propria attività fuori ufficio. In particolare, ci si è domandati a quali modalità di calcolo ricorrere nella determinazione dei rimborsi e come inquadrare questi ultimi a fini fiscali e previdenziali.
In materia si è pronunciata l’Agenzia delle Entrate, il cui ultimo intervento (Risposta n. 371) risale al 24 maggio 2021. La stessa ha richiamato il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente per il quale tutte le somme di denaro, i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, in relazione al rapporto di lavoro, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente e, in quanto tali, rientrano tra i redditi imponibili.
Ne consegue dunque che anche gli importi corrisposti ai lavoratori a titolo di rimborso spese siano da ritenersi imponibili ad esclusione delle:
L’Agenzia ha inoltre ribadito che le spese sostenute dal lavoratore e rimborsate in modo forfettario dal datore, sono da considerarsi incluse dalla base imponibile e quindi da considerarsi a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente. Infatti, nel caso di specie, il lavoratore a cui sono rimborsati i canoni di connessione ad internet può comunque beneficiare del servizio anche per uso personale/familiare.
L’esclusione del rimborso forfettario potrà essere definita esclusivamente da un intervento legislativo che specifichi e definisca quali siano i costi sostenuti dal lavoratore, nell’esclusivo interesse del datore, che devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, accertabili mediante documenti; solo così potranno essere esclusi dalla determinazione del reddito da lavoro dipendente.
L’Agenzia ha precisato, inoltre, che per il datore di lavoro, quando l’attivazione della connessione dati internet rappresenta un obbligo implicito della prestazione pattuita, i relativi rimborsi sono deducibili, ai sensi dell’art. 95, comma 1 del TUIR, in quanto assimilabili alle “spese per prestazioni di lavoro”.
In conclusione, i rimborsi spese a favore di lavoratori in smart working potranno essere esenti da contributi e ritenute qualora vi sia il ricorso al criterio analitico che permetta di determinare per ciascuna tipologia di spesa (energia elettrica, connessione internet e varie) la quota di costi risparmiata dalla società e gravata sul lavoratore.
Sulla base di quanto analizzato dall’Agenzia delle Entrate, il costo relativo, ad esempio, al traffico dati che l’azienda intende rimborsare al dipendente, non essendo supportato da elementi e parametri oggettivi e documentati, risulta essere incluso nella determinazione del reddito dipendente e conseguentemente sarà fiscalmente rilevabile ai sensi dell’art. 51, co. 1 TUIR.
In attesa di una specifica pronuncia del Legislatore, nel caso in cui si vogliano procedere a rimborsare eventuali spese, è consigliabile adottare una determinazione delle stesse secondo il criterio analitico e individuale.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro