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Il concetto di “welfare aziendale” ricomprende tutte le utilità ed i servizi predisposti dal datore di lavoro a favore dei propri dipendenti, o di alcune categorie di essi, al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa.
L’applicazione in azienda di questo sistema premiale comporta numerosi vantaggi ad entrambe le parti del rapporto, considerando anche come per alcuni beni e servizi solitamente compresi nei piani di welfare siano previsti trattamenti tributari e previdenziali agevolati.
Ci si riferisce, in particolare, a tutte quelle utilità in cui sia ravvisabile una finalità sociale, assistenziale o educativa.
Tale regime di esenzione fiscale trova il suo fondamento nel dettato normativo. In base al principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente tutti gli emolumenti in denaro, i valori corrispondenti ai beni, ai servizi e alle opere offerti dal datore di lavoro ai dipendenti durante il periodo d’imposta costituiscono redditi imponibili. Tra queste però, alcune somme, opere o servizi messi a disposizione dal datore sono esclusi da tassazione:
In materia sono sorti diversi dubbi interpretativi sui quali, nel corso degli anni, l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata.
In primo luogo, essa ha specificato che l’applicazione del regime di favore per alcune tipologie di utilità rientranti nel welfare aziendale ha carattere residuale.
Per questo, i suddetti benefit non potranno essere ricompresi nel regime di esenzione qualora abbiano finalità retributive, essendo ad esempio volti ad incentivare la performance del lavoratore o di gruppi individuati di essi.
Si ritiene preferibile, pertanto, la predisposizione di piani di welfare in cui le utilità non dipendano dalla prestazione del singolo o di gruppi quanto piuttosto da elementi quali l’incremento del fatturato dell’azienda, con una gradualità dell’erogazione dei benefit in base alla retribuzione annua lorda.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito inoltre che, ai fini dell’esenzione, i beni e i servizi a valenza socio-assistenziale devono essere erogati alla generalità dei dipendenti o a categorie di essi, non potendo rientrare nel regime agevolato quei benefit previsti unicamente per il singolo dipendente.
Nell’ambito dei servizi di welfare con finalità educative, invece, l’istituto ha stabilito che le somme destinate alla fruizione delle borse di studio rientrino nel regime di esenzione fiscale solo qualora siano destinate a studenti che conseguono livelli di eccellenza. Diversamente, quelle connesse al normale svolgimento del percorso scolastico sono da considerarsi imponibili.
Sempre in materia di servizi con finalità di istruzione, con la Risoluzione 37/E del 27 maggio 2021, l’Agenzia ha invece precisato che l’eventuale rimborso delle spese sostenute dal dipendente per l’acquisto di pc, tablet e laptop per la frequenza della didattica a distanza (DAD) dei loro familiari, non generi reddito di lavoro dipendente e per questo rientri tra i rimborsi non imponibili, in quanto è in questo caso manifesta la finalità di educazione dell’intervento.
Al fine di beneficiare del regime di esenzione, è onere del lavoratore produrre idonea documentazione rilasciata dall’Istituto scolastico o dell’Università attestante lo svolgimento delle lezioni in modalità da remoto.
In uno dei suoi ultimi interventi, l’Agenzia si è pronunciata anche sulla possibilità di cumulare il credito welfare maturato nel primo anno e non fruito. In tale occasione, ha stabilito che il lavoratore può procedere al cumulo con il credito maturato nel secondo anno, nel limite temporale di validità del piano, purché le somme in questione non siano convertibili in denaro.
Come anticipato, la predisposizione di sistemi di welfare aziendale comporta dei benefici anche per il datore di lavoro. Infatti, ai sensi dell’art. 100, comma 1, del TUIR, i costi sostenuti da quest’ultimo per l’attuazione del piano e quindi le spese relative ai servizi utilizzabili dai lavoratori per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto sono deducibili per un importo complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente. Questo, solo qualora le spese siano volontariamente sostenute dal datore e non risultino dovute in ottemperanza ad un obbligo contrattuale.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro
[1] Cfr. TUIR, art. 51 commi 1 e 2.